“Aosta 1923. Dramma in città”

“Aosta 1923. Dramma in città”
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Era il 31 novembre 1923, quando nella notte vennero vandalizzate alcune tombe del Cimitero di Sant’Orso, in una Aosta appena passata dall'Amministrazione comunale del Partito Popolare al controllo della milizia fascista. Le tombe portavano tutti cognomi francofoni, ma i nomi di chi compì il gesto non furono rivelati. «Eppure si sapeva chi era stato, alcuni dettagli non potevano essere stati diffusi che da coloro che erano presenti quella notte» commenta Patrizio Vichi, che ha dedicato alla vicenda un incontro nella Sala conferenze della Biblioteca regionale “Bruno Salvadori” martedì scorso, 31 ottobre, con la moderazione di Leo Sandro Di Tommaso e molti interventi da parte del pubblico, che ha stuzzicato il regista-studioso con riflessioni e domande. La vicenda gravita attorno a Leonardo Chabod, giovane suicida cui Patrizio Vichi ha dedicato il breve docufilm “Aosta 1923. Dramma in città”, pubblicato, come decine di altri suoi lavori d’indagine, nel suo canale Youtube.

Leonardo Chabod, nato nel 1904, era il secondo di 3 fratelli. Il fratello più grande era Federico, il celebre storico e primo presidente della Valle d'Aosta. Il fratello più piccolo era Renato, avvocato, che sarebbe poi diventato senatore al Parlamento italiano. Il giovane aveva finito il secondo anno del Liceo classico nell'anno scolastico 1922-1923, la quarta superiore, e già l’anno precedente aveva aderito al fascio, anzi faceva parte di una squadra di azione ed era stato nominato Tenente della milizia fascista.

Il giorno dopo i fatti del cimitero, Leonardo Chabod scrive una lettera enigmatica e si suicida. Il documento, pubblicato da Elio Riccarand in “Fascismo e antifascismo in Valle d'Aosta”, parla di una scelta che il giovane aveva dovuto compiere «Non dovendo assolutamente sacrificare mia madre». D’altro canto, altri documenti raccolti allora dalla Prefettura di Torino parlano di «Una squadra di 6-7 sconosciuti avvinazzati». Pochi giorni dopo il pastore Alessandro Letey, che lavorava come lattaio nella fattoria di fronte al cimitero, sparì per sempre nel nulla. «Ho creduto di poter identificare i resti di Alessandro Letey in un teschio dalla tempia fratturata e i denti guasti, trovato fra un mucchio di ossa umane nel prato privato di fronte al cimitero. - racconta Patrizia Vichi - Ma non mi è stato possibile procedere con le ricerche, quando ho chiesto maggiori informazioni sono stato invitato a presentare una denuncia in Procura, ma non è questo il mio mestiere». Toccante e inquietante è invece la lettera d’addio del giovane Leonardo Chabod. Fra le righe, guidati da Patrizio Vichi che affianca alle parole altri fatti dell’epoca, si legge di un giovane minacciato negli affetti, che «Perdona tutti» ed è spinto nel suo atto estremo dalla coscienza, prima ancora che dalla malattia nervosa da cui era affetto. «La ricostruzione ci porta ad un incontro fra squadristi, guidati dal colonnello a riposo Giuseppe Cajo. Potrebbe essere stato lui - conclude Patrizio Vichi - ad aver messo il giovane Leonardo Chabod nelle condizioni di togliersi la vita».

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