Il tenente René Visendaz, «Magnifica figura di ufficiale alpino» che si sacrificò per aiutare i commilitoni in Russia

Il tenente René Visendaz, «Magnifica figura di ufficiale alpino» che si sacrificò per aiutare i commilitoni in Russia
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Le celebrazioni dei cento anni della Sezione Valdostana dell’Associazione Nazionale Alpini costituiscono l’occasione per molti di noi di tornare ai racconti dei nonni e dei padri, alla guerra e alla naja, oppure per ricordare il nostro servizio militare. Eppure esistono degli uomini dimenticati, che solamente la curiosità di qualcuno può fare tornare nelle nostri menti, uomini e alpini che meriterebbero il ricordo della comunità e che invece il trascorrere del tempo ha quasi del tutto cancellato dalla memoria delle persone e da quella collettiva dei loro paesi. Per questo motivo, per la ricorrenza del secolo della Sezione Valdostana degli Alpini, abbiamo voluto riportare alla luce le storie meravigliose e tragiche di 2 nostri ufficiali alpini della Seconda Guerra Mondiale, entrambi caduti in Russia: il capitano Camillo Valleise di Arnad sabato scorso e il tenente René Visendaz di Ayas oggi, sabato 21 ottobre, accomunati dal terribile destino di appartenere entrambi alla Divisione Alpina Cuneense che sul fronte orientale perse 16.500 dei suoi 18.500 effettivi. La tragedia della Cuneese è da considerarsi come la più pesante, in termini di vite umane, disfatta mai subita da nessuna divisione o insieme di battaglioni nella storia moderna dell'Europa occidentale. In quella ecatombe 9 erano i valdostani: nel Secondo Reggimento Camillo Valleise apparteneva al Battaglione Saluzzo che non ebbe praticamente supersisti, René Visendaz era con il Dronero, di questo reparto furono 200 i sopravvissuti, gli unici dei 5.200 soldati che contava per l’appunto il Secondo Reggimento Alpini. Probabilmente Camillo e René si incontrarono e si conobbero.

René Visendaz, l’alpino della fede

Dal Don il sottotenente René Visendaz scriveva in francese ed iniziava le sue lettere con l’immancabile “Mon très cher papa”. Le ultime che inviò a casa furono quelle datate 24 dicembre 1942 e 7 gennaio 1943, poi più nulla. Alla vigilia di Natale nel suo rifugio, alla luce di una lampada concluse “La lampe s’en vat et je vous laisse pour ce soir. Je vous embrasse fort tous. Deux gros baisers pour les chers Rita et Carlo”. Il 7 gennaio scrisse “Moi je fus à minuit du 31 décembre à la Sainte Messe et dans la communion je suis venu auprès de vous”.

Renato Visendaz, per i suoi cari René, era il figlio di Germano Visendaz di Antagnod e di Taidina Brunod. Falegname il papà, aveva due fratelli maggiori Alessio del 1914 - diventò medico e ricercatore, fu ufficiale nella Seconda Guerra Mondiale - e Guido del 1915, figura famosa di teologo e sacerdote, cappellano militare della Divisione Brennero nel conflitto, decorato al Valor militare sul fronte greco e protagonista del salvataggio di centinaia di militari italiani dalla deportazione, protagonista del libro “La lunga fuga” e fondatore del Villaggio del Fanciullo a Silvi Marina, per accogliere i ragazzi di strada. Nato nel 1921, René rimase orfano di mamma ad appena due anni e il padre Germano, con i suoi tre ragazzi piccoli, si risposò con Maria Alliod dalla quale ebbe altri due figli, Rita nel 1938 e Carlo nel 1940.

Dopo le scuole a Antagnod, René scese ad Aosta dove concluse gli studi diplomandosi maestro e frequentando l’ambiente dell’Azione Cattolica. Si iscrisse all’università ma nel marzo del 1941 divenne uno dei “Ragazzi di Aosta”, uno dei milleseicento giovani che vennero chiamati, interrompendo gli studi, per il corso da allievi ufficiali in modo da reintegrare i quadri del Regio Esercito. Ad Aosta tra la Testa Fochi e la Colonia elioterapica (dove oggi si trova l’Institut Agricole) vennero addestrati per quattro mesi, poi René Visendaz completò la sua formazione alla Scuola ufficiali di Avellino e quindi venne assegnato alla Divisione Alpina Cuneense, 17esima compagnia del Battaglione Dronero del Secondo Reggimento, giusto in tempo per prendere conoscenza con il proprio plotone prima della partenza - a fine luglio del 1942 - verso la Russia, dove il reparto si attestò sul Don. A gennaio 1943 quando il fronte crollò ed iniziò quello che venne definito “il ripiegamento dalla linea del Don” René Visendaz fu un esempio durante la terribile ritirata. Nel corso di un attacco per aprire un varco nell’accerchiamento venne ferito ad una gamba, ma rimase con i suoi alpini sino al successivo combattimento, quando mercoledì 27 gennaio venne preso prigioniero. Le testimonianze di chi è sopravvissuto, dei pochi che tornarono, raccontano delle tragiche marce fino al campo di Krinowaja, dove arrivò alla metà di febbraio. In quell’inferno di uomini sofferenti, René Visendaz si adoperò, ispirato e sorretto dalla sua grande fede, per sostenere con parole di conforto e di speranza chi era allo stremo. “Fu una vera benedizione per noi” scrissero alla fine della guerra coloro che rientrarono in Italia, ma René Visendaz da Krinowaja venne trasferito a Oranki dove arrivò il 12 marzo, in condizioni di sfinimento estremo, come i compagni affamati, laceri, sporchi, tanto da non sfuggire all’epidemia di tifo che fece strage di alpini. René Visendaz fino all’ultimo si prodigò per gli altri, morì ai primi di aprile, la data non è conosciuta, anche se venne poi annotata quella del 27 marzo 1943. Fu al tenente Mario Braga del Dronero, suo amico, che René Visendaz prossimo alla fine lasciò gli effetti personali pregandolo di portarli a Ayas, cosa che effettivamente successe dopo la guerra. Tornato a Milano, Mario Braga quando si mise in contatto con la famiglia Visendaz scrisse a proposito di quello che era accaduto: “La verità è una sola ed è bene che gli italiani la conoscano: è che il novanta per cento degli italiani fatti prigionieri dai russi è stata lasciata morire di fame, di freddo e di stenti.”

Quindi il disperso sottotenente Renato Visendaz divenne purtroppo per la sua famiglia un caduto. Nel 1952, dopo avere raccolto diverse testimonianze, gli venne attribuita la medaglia d’argento al Valor militare con questa motivazione: “Magnifica figura di ufficiale alpino, diede costante prova di capacità di comando e di sereno coraggio. Durante estenuanti marce di ripiegamento dalla linea del Don, instancabilmente si prodigava per mantenere l’unità e la compattezza del reparto. In azione di contrattacco contro forze preponderanti, conduceva il suo plotone con rara perizia e, sotto micidiale fuoco avversario, sprezzante di ogni pericolo, si lanciava alla testa dei suoi alpini che trascinava con l’esempio. Ferito, rifiutava di abbandonare il suo posto di combattimento e, pur sofferente e stremato di forze, continuava l’azione alla testa dei suoi uomini fino al raggiungimento dell’obiettivo fissatogli. Fatto prigioniero in successiva azione durante l’ennesimo assalto condotto sempre alla testa del suo plotone, continuava a prodigarsi con sublime abnegazione e oltre ogni umana possibilità, per soccorere e confortare i compagni di sventura. Si spegneva in prigionia nel campo di concentramento di Oranki invocando la Patria lontana ed i monti della sua Aosta”.

La medaglia d’argento venne consegnata al papà di René, Germano Visendaz, durante la celebrazione della Festa della Vittoria, mercoledì 4 novembre 1953, in piazza Emile Chanoux ad Aosta dall’allora presidente della Giunta valdostana Severino Caveri. Da quel giorno e da quello della sua morte da Oranki sono passati rispettivamente ottanta e settanta anni ed è giusto oggi, che celebriamo con una grande festa tutti gli alpini valdostani, ricordare gli uomini come René Visendaz che la memoria collettiva rischia di dimenticare.

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