Lino Jordan, il rabeilleur: una vita tra biathlon e reines
Un venerdì maledetto. Quel ricordo del 6 febbraio 1976 quando passava nella testa e negli occhi di Lino Jordan lo rendeva pensieroso. La grande occasione, quella che per ogni atleta passa, almeno una volta nella breve vita agonistica. Lui era forte il quel biathlon passo e spinta, mica il pattinaggio di oggi, e pure preciso con la pesante carabina, ma quel venerdì dei Giochi Olimpici di Innsbruck avvertiva il caldo che arrivava e guardava quel suo pettorale 40, troppo tardi per partire, eppure fece appunto la gara della vita, arrivando settimo nella 20 km, con la rabbia in corpo perché vedeva quel sogno medaglia svanire poco a poco quando in fondo alle discese la neve era già pozzanghera. Vinse il sovietico Nikolay Kruglov, Willy Bertin - che giovedì è salito a Etroubles per l’ultimo saluto a Lino - arrivò quarto partito con il numero 3 e il nostro Jordan, alla sua seconda Olimpiade, capì che la sua chance era passata. Ebbe una nuova occasione appena l’anno dopo al suo quarto Mondiale a Lillehammer in Norvegia, ottavo nella veloce 10 km, ma a pochi secondi dal podio. Partecipò a 5 edizioni dei campionati iridati (1973, 1974, 1975, 1976 e 1977) Lino Jordan dal villaggio di Tat di Bosses, nato il 15 maggio del 1944, tra i grandi del biathlon italiano, lui che nella sua valle era cresciuto forte e alto, perfetto per caricarsi in spalla le “bricolle” del contrabbando e le prede della caccia. Lo sport lo avvicinò nello Sci Club Gran San Bernardo, poi fondista dal 1962 dell’Asiva quindi il Corpo Forestale dello Stato, insieme a tanti altri valdostani, in squadra B. Fu l’incontro con il colonnello degli Alpini Battista Mismetti a creare Lino Jordan biathleta, visto che il “creatore” del biathlon italiano fece leva sulla passione per le armi e il tiro del bossolen. Così dal 1969 al 1980 Lino Jordan fu il pilastro degli azzurri, continuando come allenatore fino al 1984 e poi ancora sino al 1988 come responsabile del tiro per i giovani della squadra B.
Una figura carismatica, intanto il fisico imponente, quella magnifica barba da uomo antico, l’accento tipico della Coumba, poi le passioni che un tempo erano passioni comuni ad una generazione. Lo sci, la caccia, la montagna, le mucche, pure le reines, il fiolet, la voglia di stare insieme, ancora più forte per lui, obbligato alla vita di atleta e poi di forestale lontano dalla Valle. Per 10 volte campione italiano assoluto di biathlon, divenne campione anche nell’allevamento, anzi con occhio esperto acquistò un fenomeno, la piccola Paison e nel 1989 la gioia di vederla reina des reines nel Primo peso, poi riconfermata nel 1991. Appassionato di alpeggi e di natura, quelle mani così abili con il fucile, così sensibili quando era il momento di “mollare” il colpo, sono diventate dall’oggi al domani le mani della guarigione. Nella casa sul tornante di Etroubles, dove ridendo raccontava di quando qualche camion gli entrava in salotto, come raccontava delle prime guarigioni sui cani e le mucche, anche delle fratture, ridotte e steccate, guarite alla perfezione. Poi gli umani, perché la voce fa presto a andare da valle in valle e così agli amici della zona se ne aggiungono molti altri. Uno sciamano valdostano, sorridente e carismatico, pieno di storie e di tradizione, la barba ormai candida, gli occhi sempre blu. Lino Jordan era l’uomo che si prendeva la scena, con i suoi racconti e il carisma, fino all’infarto di martedì mentre si trovava in un campo di Etroubles, in montagna, sotto il suo cielo.
Lino Jordan è mancato all’Ospedale regionale poco dopo il ricovero e la notizia della sua scomparsa ha viaggiato veloce, un lutto collettivo, dimostrato dalla grande partecipazione della comunità che si è stretta alla moglie Luciana Deffeyes ed ai figli Lorena e Ivan, in particolare durante la cerimonia di funebre di giovedì scorso,