Leo Sandro Di Tommaso e Patrizio Vichi: «Sussiste ormai il dovere di giudicare quelli che hanno giudicato Emile Chanoux»
All'interno del grande dibattito odierno sulla cosiddetta “giuridificazione della storia” (ANTOINE GARAPON, Peut-on réparer l’histoire? Colonisation, esclavage, Shoah, Paris, 2008, 13; ALBERTO MELLONI, Per una storia della tribunalizzazione della storia, Laterza, Bari 2012; Riparare Risarcire Ricordare: un dialogo tra storici e giuristi, a cura di GIORGIO RESTA, VINCENZO ZENO-ZENCOVICH, Editoriale Scientifica, Napoli 2012), si è molto discusso in questi ultimi anni circa la possibilità di “réparer l’histoire”.
Réparer l’histoire ha voluto dire, sul terreno pratico, riconoscere l'illeceità e la delittuosità dei danni inflitti dall'Italia alla Libia, della Francia all'Algeria e degli altri paesi colonialisti ad altri popoli, dei danni subiti nella Shoah in favore dei sopravvissuti.
Réparer l’histoire ha voluto dire impegnarsi a investire miliardi e risorse, a restituire capolavori d'arte: pensiamo alla “Venere di Cirene” restituita dall'Italia alla Libia, benché essa fosse stata scoperta e riportata alla luce da archeologi italiani sul suolo libico.
Per noi due autori del libro Emile Chanoux: non fu suicidio. Dal documentario al libro (Tipografia Valdostana - Musumeci Editore, Aosta 2020) ha significato riaprire il processo Mancinelli e interrogare tutti i testimoni e tutte le carte, perché i conti sul passato possano essere finalmente fatti. Sussiste ormai il dovere di giudicare quelli che hanno giudicato Emile Chanoux, con un procedimento simile al “Processo a Gesù” di Diego Fabbri.
Il risarcimento simbolico può concretizzarsi a vari livelli: dal cambiamento dei testi delle lapidi in sua memoria, fino a iniziative artistiche, finanziate dalle istituzioni, per restituire a Chanoux la dignità che gli spetta, e fino a iniziative educative nelle scuole.