Fare nascere vite in mezzo alle macerie: Gianluca Bertschy nell’ospedale da campo della Turchia distrutta dal terremoto
Fare nascere vite in mezzo alle macerie. Gianluca Bertschy, ventinove anni, di Hône, ha trascorso due settimane lavorando nell’ospedale da campo allestito dal team di Maxiemergenze della Regione Piemonte nella cittadina di Defne, vicino ad Antiochia, in Turchia, a pochi chilometri dal confine con la Siria, epicentro del terrificante terremoto che lunedì 6 febbraio scorso ha provocato oltre 50mila morti. Laureato in Medicina e Chirurgia, sta ora frequentando la specialità di Ginecologia e Ostetricia all’Ospedale Sant’Anna di Torino.
«Il nostro primario, la professoressa Chiara Benedetto, e il direttore della scuola di specialità Luca Marozio ci hanno proposto questa possibilità e l’ho accolta con entusiasmo. - racconta Gianluca Bertschy, che è figlio dell’assessore regionale ed ex sindaco di Hône Luigi e di Stefania Gamba - Siamo partiti con la seconda missione, dopo che la prima nelle precedenti due settimane aveva portato in là tutto il materiale necessario ad allestire e rendere operativo l’ospedale da campo. Eravamo un gruppo molto nutrito di medici di varie specialità ma anche di infermieri, infermieri pediatrici, ostetriche, tecnici di laboratorio e di radiologia e volontari della Protezione civile. Del gruppo ostetrico-ginecologico facevano parte, oltre a me, la mia collega Fidalma Boninu che segue insieme a me la specialità e le ostetriche del Sant’Anna Eleonora Selmi e Stefania Idili».
Il viaggio in pullman tra i palazzi sbriciolati
«Siamo partiti dall’aeroporto di Caselle sabato 4 marzo con un volo militare, carico di personale e di materiale. - prosegue Gianluca Bertschy - Siamo atterrati nella città turca di Adana e da lì abbiamo raggiunto Defne con un viaggio in pullman di circa due ore e mezza. A mano a mano che ci avvicinavamo alla zona epicentro del terremoto, aumentava il numero di palazzi sbriciolati, di strade dissestate. Antiochia e Defne hanno l’aspetto di città fantasma. Gli edifici distrutti sono moltissimi e anche quelli ancora in piedi sono lesionati. Le persone vivono nelle tendopoli, oppure in giacigli improvvisati nel cortile delle loro case. Uno scenario emotivamente impattante, difficile da capire se non si vede. L’ospedale da campo è stato allestito all’interno di un campo da calcio, in totale sicurezza, e non ci era consentito uscire perché tutto fuori era pericolante. Abbiamo vissuto in una bolla, lavorando, mangiando e dormendo insieme».
Le visite in gravidanza e i parti cesarei
Se loro non uscivano, era però il mondo esterno che entrava da loro. Con gli ospedali danneggiati dal terremoto e fuori servizio, quello allestito dalla Regione Piemonte funziona come un accesso di Pronto Soccorso, a cui accedono non solo i feriti causati dal sisma ma tutti coloro che si trovano ad avere bisogno di assistenza medica.
«E’ un ospedale a indirizzo prettamente chirurgico, con la sala operatoria, la sala parto, la traumatologia. - sottolinea Gianluca Bertschy - I pazienti sono smistati nelle varie tende a seconda delle necessità. Naturalmente era presente anche un gruppo di mediatori culturali, che è stato di fondamentale importante e che era formato da residenti ma anche da giovani turchi che studiano nelle università italiane e per l’occasione sono tornati in patria a dare il loro contributo. Noi ci occupavamo della parte ambulatoriale, dei controlli in gravidanza, così come dei parti cesarei. Durante l’intera missione sono nati circa trenta bambini».
Il calore della gente e il bimbo chiamato Sergiomattarella
Un’esperienza formativa dal punto di vista professionale ma pure fortissima a livello umano. «Abbiamo avuto alcuni cesarei d’urgenza, per fortuna tutti andati per il meglio. - continua Gianluca Bertschy - Ancora oggi quelle donne ci inviano le foto dei loro bambini e non smettono mai di ringraziarci. In generale le persone esprimevano tantissimo la loro gratitudine, anche tornando a trovarci dopo il ricovero e portandoci da mangiare. Tutti avevano tanta voglia di parlare. Conservo il ricordo di una donna in gravidanza, per fortuna in salute, che ci ha raccontato di aver perso sotto le macerie la sua prima bambina di sei anni. Un’altra famiglia, in seguito a un taglio cesareo urgente eseguito da noi, ha chiamato il bimbo “Sergiomattarella”, per ringraziare l’Italia dell’aiuto e uno dei nostri medici di origini palermitane ha pure regalato loro la sciarpa del Palermo».
“Ci hanno fatto sentire a casa anche se loro non l’avevano più”
«Il nostro riferimento in loco per l’intera missione è stato il team leader dottor Nicola Tommasoni. - aggiunge Gianluca Bertschy - Avevamo turni impegnativi ma in realtà, vivendo sempre lì dentro, anche quando non eravamo impegnati davamo comunque una mano agli altri. Non si percepivano il trascorrere del tempo e nemmeno la fatica, così grandi erano l’impegno e la gratificazione. Il contesto lavorativo è stato bellissimo, di collaborazione straordinaria e di affiatamento».
Al termine della missione durata complessivamente un mese, il personale italiano è stato sostituito da quello turco, che continuerà ora ad operare nell’ospedale da campo.
Gianluca Bertschy è tornato in Italia sabato scorso, 18 marzo, e da lunedì è di nuovo al lavoro all’Ospedale Sant’Anna di Torino. Quando parla della Turchia, ancora la voce si rompe dall’emozione, le lacrime salgono agli occhi: «E’ stata un’esperienza fortissima, professionalmente ed emotivamente, che mi ha arricchito tantissimo e che porterò sempre con me. Ho curato persone splendide, che hanno fatto di tutto per farci sentire a casa anche se loro una casa non ce l’avevano più. Lo ammetto: se me lo chiedessero, ripartirei subito».