Piero Lucat, la lettera: «Non disturbare il manovratore»
Pubblichiamo una lettera firmata da Piero Lucat, «Uno dei firmatari della richiesta di referendum»
Mercoledì 11 gennaio il Consiglio regionale, con 33 voti tra contrari e astenuti, ha affossato la richiesta di un referendum popolare consultivo sulle modalità di elezione del Presidente della Regione e del Consiglio Valle.
Sono uno dei 3.363 elettori valdostani che avevano sottoscritto tale richiesta, che aveva semplicemente lo scopo di dare una scossa alla politica valdostana, inerte da anni, per sollecitare una riforma, quale quella dell’elezione diretta del Presidente della Regione, che potrebbe consentire di dare una stabilità ad una Regione che ormai dal 2013 vive un’instabilità politica pressochè perenne: nella legislatura tra il 2013 e il 2018 si sono succedute 6 Giunte e varie maggioranze, quella successiva si è addirittura conclusa con lo scioglimento anticipato del Consiglio Valle, fatto mai avvenuto nella storia valdostana, quella attuale sopravvive da quasi 2 anni, con una risicata maggioranza di 18 Consiglieri su 35, tra consultazioni e continue verifiche.
Ho seguito i lavori del Consiglio Valle ed ho sentito le affermazioni pretestuose di coloro, quasi tutti, che si sono schierati contro al referendum: qualcuno si è aggrappato a cavilli giuridici inesistenti, sostenendo l’inammissibilità di un referendum che era stato richiesto seguendo quanto previsto dalla legge regionale; qualcuno ci ha accusato di populismo, perché, secondo loro, la sovranità, contrariamente a quanto previsto dalla Costituzione, non spetta al popolo, ma agli eletti. Gli elettori, esprimendo il proprio voto, devono limitarsi a dare una delega in bianco ai partiti, che la esercitano come meglio credono. Se poi non lo fanno, come da anni sta avvenendo, stiamo fermi, ma il problema è che in questo modo sta ferma anche la Valle d’Aosta.
Dal 2018 in avanti tutte le forze politiche hanno indicato, come prioritaria nei loro programmi, la riforma della legge elettorale, ma non hanno fatto niente in tal senso: è stata presentata qualche proposta, nella scorsa legislatura è stato anche sottoscritto un testo dai Capigruppo di maggioranza portato all’esame delle Commisssioni, ma poi tutto, come sempre, si è arenato.
La proposta su cui volevamo chiedere il parere degli elettori valdostani è molto articolata e come tale, migliorabile e perfettibile.
Ma il tema centrale su cui si si chiedeva agli elettori di esprimersi è semplice: “Siete favorevoli all’elezione diretta del Presidente della Regione e della sua maggioranza?” E’ quello che avviene in tutte le regioni e in tutti i comuni italiani (anche in quelli valdostani) e che ha contribuito a creare una stabilità politica che prima non esisteva.
E’ chiaro che una legge elettorale di questo tipo sposta la centralità dai partiti agli elettori: votando un partito, non gli firmeremo più una delega in bianco, ma sceglieremo anche un programma, un Presidente e una maggioranza che, se saranno eletti, governeranno per 5 anni. E, in caso di sfiducia al Presidente eletto direttamente, non andrà a casa solo lui, ma tutto il Consiglio regionale, e questo sarà un ottimo deterrente ai ribaltoni finalizzati esclusivamente all’ambizione di posti di potere.
Questo è il motivo principale per cui il manovratore non vuole essere disturbato: perché una riforma di questo genere gli toglierebbe potere, non gli permetterebbe più di esercitare i piccoli ricatti quotidiani per un posto in Giunta o per qualche altro posto di sottogoverno. Con questa riforma le scelte vanno fatte prima, quando ci si presenta al voto, ed è su tali proposte che l’elettore si esprime.
Permettere lo svolgimento del referendum avrebbe consentito ai Consiglieri regionali di conoscere l’orientamento dell’elettorato valdostano su di una riforma di tale portata e di approvare una legge che sarebbe andata incontro a tale orientamento.
I 33 Consiglieri regionali che hanno votato contro il referendum si sono invece limitati ad approvare 2 risoluzioni: la prima che impegna la commissione consiliare competente a costituire al suo interno una sottocommissione finalizzata ad elaborare entro l’estate una proposta di riforma dell’attuale legge elettorale; la seconda che impegna sempre la prima commissione consiliare ad effettuare una ricognizione sugli istituti di partecipazione popolare finalizzata alla predisposizione di una legge regionale che li modifichi.
Se il primo impegno è l’ennesimo rinvio che si sussegue di legislatura in legislatura e che finora non ha mai sortito effetti concreti, il secondo sembra invece essere un nemmeno tanto larvato tentativo di ridurre in prospettiva gli spazi degli strumenti di democrazia diretta nella nostra regione.
Tutto per non disturbare ulteriormente il manovratore, mentre il treno continua a stare fermo in stazione (non solo in senso figurato, visto che siamo in Valle d’Aosta!).