Alessandro Neyroz, il «prof» dell’Institut Agricole Régional che non ha mai «dato una nota»
Alessandro Neyroz è il «prof» dell’Institut Agricole Régional, un appellativo da decano, visto che nelle aule della collina di Aosta ha insegnato per oltre quarant’anni fino al giorno della pensione, esattamente il 1° marzo 2020. «Sin da quando ero piccolo ero spinto dalla necessità di capire. Tutto mi incuriosiva e mi ponevo mille domande usando sempre la solita parola: perché? E a ogni domanda che mi ponevo, cercavo sempre di dare una risposta, possibilmente quella giusta!»
Alessandro Neyroz nasce a Châtillon il 19 febbraio del 1957. È il secondo dei tre figli dei coniugi Enrico, classe 1914, figlio di Francesco Neyroz e Giuseppina Brunod (entrambi di Châtillon), e Irma Pession, nata nel 1918 da Antonio e Giuliana Perron, originari di Valtournenche. Prima di lui è del 1954 la sorella Daniela, dopo del 1959 è il fratello Piergiorgio. La sua curiosità oltre che a scuola, può manifestarsi liberamente in alpeggio, dove è affidato alle cure del conduttore Casimiro Bich ad appena otto anni, a Liortere, sopra il villaggio di Crepin. È lassù, tra i monti della Valtournenche, che il futuro insegnante dell’Ecole pratique d’agriculture (nel 1982 diventata Institut Agricole Régional), durante le ore del pascolo, trascorre il tempo guardandosi intorno ed a porsi mille domande. I suoi tanti «perché» nascono dall’esigenza estrema di capire cosa lo circonda: dal fiore che cresce sulla roccia a un altro fiore che spunta tra i fili d’erba, dal cielo che improvvisamente diventa scuro mentre un attimo prima era blu, all’acqua che scorre lungo un piccolo ruscello, dall’istinto delle mucche di scegliere quale erba mangiare e quale no.
«La prima volta che andai in alpeggio - racconta Alessandro Neyroz - avevo appunto otto anni. Tornai per altre tre estati, fino a quando iniziai a frequentare le scuole medie a Châtillon dove vivevamo con la mia famiglia. Anche se ero con una brava persona come Casimiro Bich, non mi piaceva andare in montagna perché soffrivo di malinconia. Sentivo nostalgia di casa, della famiglia. In alpeggio non potevo giocare, come il pastorello avevo il compito di controllare le mucche. Quando non ero al pascolo, dovevo fare altri piccoli lavoretti, come ad esempio trasportare dalla stalla alla casera i secchi con il latte appena munto. In qualunque momento della giornata osservavo tutto quanto mi incuriosiva: il cielo, le stelle, gli insetti, i fiori, gli uccelli, le marmotte, l’acqua nei ruscelli, la pioggia. Rimanevo incantato a guardare con quale capacità le mucche brucavano l’erba, mangiando prima le foglie tenere, poi la parte grossolana delle piante.»
Finite le scuole medie, Alessandro Neyroz sceglie di iscriversi proprio all’Ecole pratique d’agriculture di Aosta fondata e gestita dalla Congregazione dei Canonici del Gran San Bernardo che, all’epoca, prevedeva tre anni di studio per ottenere la qualifica professionale. «La mia fu una scelta controcorrente rispetto ai miei compagni di allora. In quegli anni tutti cercavano di abbandonare il mondo dell’agricoltura, perché altrimenti si veniva additati come “bacan”. Chi era figlio di agricoltori era considerato un poveraccio e veniva emarginato. Quando iniziai l’Ecole d’agriculture, c’era il canonico Joseph Vaudan che considero tutt’oggi il mio mentore. Si accorse subito che a scuola, però, mi annoiavo durante le lezioni e grazie a lui, anziché tre anni di scuola ne feci solamente due. A quei tempi, infatti, l’Ecole era una scuola privata e aveva dei costi per chi mandava lì i propri figli a studiare. Secondo il canonico Vaudan, la mia noia era dovuta al fatto che ero più avanti dei miei compagni di classe e in prima superiore perdevo solo il mio tempo. Dopo averne parlato con i miei genitori, mi fece transitare subito alla seconda. Ricordo che quando disse a mia madre Irma che in aula molto spesso dormivo, ero pronto a prendermi da lei uno schiaffo. Il motivo, però, secondo Joseph Vaudan era che il primo anno di studio per me era troppo semplice. Alla fine del terzo fu sempre lui a proporre ai miei genitori di mandarmi a studiare in Svizzera. Il suo desiderio era di riportare, un domani, all’Ecole d’agriculture delle persone preparate e qualificate per l’insegnamento delle materie legate al mondo dell’agricoltura.»
Alessandro Neyroz nel 1973 si iscrisse quindi a La Châtelaine di Ginevra (trasformata poi nel Centre Horticole de Lullier nel 1977), dove rimase fino al termine dell’anno scolastico 1975-1976 quando ottenne il diploma equivalente al diploma italiano di perito agricolo. A sostenerlo sono mamma Irma e papà Enrico, consapevoli dei sacrifici economici a cui vanno incontro, pur di garantire l’esperienza scolastica all’estero al loro ragazzo. «Mia mamma - ricorda Alessandro Neyroz - era una donna speciale, sicuramente all’avanguardia per i suoi tempi. Aveva sedici anni quando perse il papà, mio nonno Antonio, e mia nonna Giuliana andò in crisi. Fu così che mia mamma, quando ancora era appena adolescente, si ritrovò a gestire l’alpeggio di famiglia, Le Grillon, fatto del tutto inusuale per l’epoca, poiché considerato un lavoro da uomini. Correva l’anno 1934 e a quei tempi nessuno risparmiava o giudizi. Tutti gridavano allo scandalo. Mia madre Irma, però non si perse d’animo e prese in mano le redini dell’alpeggio andando a contattare gli allevatori, e con loro contrattare, che mandavano le vacche in montagna e cercando la manodopera per gestirlo nel migliore dei modi. L’unico mezzo a disposizione per spostarsi dall’alpeggio a Châtillon dove abitava, e viceversa, era la bicicletta. Per la comunità di Valtournenche, anche questo rappresentava uno scandalo, così come scandaloso fu il giudizio su di lei che decise di portare i pantaloni lunghi, come i maschi, per muoversi meglio durante le tante ore di lavoro. Per la gente della Valtournenche, mia mamma era una ragazza fuori di testa. Lei, invece, per forza di cose aveva imparato presto a rapportarsi con la vita e la curiosità la spingeva a osservare ogni cosa. Forse è per questo motivo che la curiosità è nel mio DNA? È mancata nel 2019, all’età di centouno anni compiuti, affaticata negli ultimi dieci della sua vita in seguito a una caduta, ma lucida di mente fino all’ultimo istante.»
Terminati gli studi nel 1976, Alessandro Neyroz lavora per sei mesi alle dipendenze di una ditta svizzera, impegnata nella manutenzione delle aree verdi a Ginevra. Il mancato rinnovo del permesso di soggiorno lo obbliga a rientrare in Valle d’Aosta e nel maggio del 1977 è alpino, prima il Car a Cuneo, poi la destinazione su Torino alla caserma “Montegrappa”. Qui il giovane Alessandro attraversa «un periodo difficile e odiato, sotto il comando di un certo Claudio Graziano che fece poi carriera fino a diventare nel 2017, generale presidente del Comitato militare dell’Unione europea».
Trascorrono appena undici giorni dal termine della parentesi di vita nell’Esercito italiano che, con tanto di congedo in tasca datato 7 maggio 1978, Alessandro Neyroz varca nuovamente la soglia dell’Ecole pratique d’agriculture di Aosta. Questa volta l’insegnante è lui. «In realtà - riprende a raccontare Alessandro Neyroz - durante i primi sei mesi trascorsi all’istituto dovetti occuparmi essenzialmente degli orti di Mont Fleury, dove i canonici del Gran San Bernardo gestivano anche la cascina per l’allevamento delle vacche. Mi occupavo pure dei frutteti e durante il periodo invernale svolgevo lavori nella cantina. L’anno successivo mi ritrovai dietro una cattedra. All’epoca, essendo l’École un istituto privato, non era richiesta necessariamente la laurea. Cominciai così ad insegnare tutta una serie di materie che altri insegnanti disdegnavano: orticoltura, fisica (materia legata al corso di macchine agricole) e, addirittura, educazione fisica quando il canonico Francis Darbelley smise di occuparsene. In quel periodo mia sorella Daniela si stava diplomando all’Isef e chiedevo a lei cosa insegnare ai ragazzi in palestra. Durante le vacanze estive continuavo ad occuparmi del lavoro nei campi. Questo fu il mio percorso fino al 1982, quando l’École pratique d’agriculture diventò l’attuale Institut Agricole Régional che, a sua volta, introdusse la parte dedicata alla ricerca. Così fui inglobato nel settore dell’agronomia e questo mi riportò immediatamente a ripensare ai tanti perché di quando ero bambino, alle molte domande che mi ponevo quando ero un pastorello. Non si faceva più orticoltura, tuttavia mi fu permesso di coltivare le patate e su di esse di condurre le mie ricerche sui confronti varietali e sul legame con le variazioni climatiche.»
Alessandro Neyroz inizia così a insegnare anche agronomia, ecologia e per un certo periodo colture erbacee, grano e frumento. Il “prof” però prova a coltivare i cereali sui terreni di Mont Fleury, spinto anche dalla richiesta di collaborazione del panificio aostano Scarlatta che puntava alla produzione di pane di segale.
«Avevamo instaurato un bel rapporto con il panificio - ricorda Alessandro Neyroz, insegnante “molto pratico” che nei suoi quarantadue anni trascorsi a scuola non ha mai dato una nota ai suoi alunni - e nei primi tempi, la sera intorno alle 22, portavo i miei ragazzi a vedere come veniva fatta la miscelazione della farina con la segale e come era prodotto il pane. Tornavamo al pastino alle cinque del mattino per vedere come il pane veniva sfornato. Ricordo ancora quel profumo che piaceva a me, come anche ai ragazzi. Ero un insegnante che pretendeva rispetto e che pretendeva che gli studenti imparassero a farsi loro stessi mille domande, piuttosto che imparare a memoria. Mi rendevo conto di non essere un professore semplice, ma con i miei ragazzi ho sempre avuto un bel rapporto!»
La vita di Alessandro Neyroz non è stata solo quella dell’insegnamento e della ricerca.
I suoi interessi hanno spaziato dalla passione per la corsa alla politica e non solo. Basti pensare che se da ragazzo correva in pista per la Uisp Valle d’Aosta, poi da grande ha ricoperto il ruolo di presidente del caseificio di Châtillon (dal 1986 al 1989), è stato consigliere, vice sindaco e assessore all’agricoltura e all’ambiente al Comune di Pontey dal 2000 al 2015 e vice presidente della Crotta di Vegneron di Chambave dal 2013 al 2019.
L’esperienza maturata strettamente a contatto con il mondo agricolo e con quello dell’insegnamento hanno portato Alessandro Neyroz ad essere uno dei fondatori del consorzio “Orto Vda”, nato il 16 febbraio 2021 per tutelare i prodotti della filiera ortofrutticola valdostana. La presidenza del consorzio (la carota è il simbolo del marchio) è stata affidata proprio all’ex insegnante dell’Institut Agricole Régional. «Il Consorzio - spiega Alessandro Neyroz - ha tra le sue finalità, anche quella di vigilare sulla coltivazione e sulle relative metodologie. Attraverso il nostro marchio vogliamo fare conoscere le nostre produzioni che sono sicuramente di qualità superiore rispetto a quelle provenienti da fuori valle. Le nostre, infatti, sono varietà che nascono e crescono in ambienti di montagna, coltivate secondo la tradizione con modalità colturali rispettose dell’ambiente, senza l’uso di pesticidi, di concimi o di quant’altro.» Il Consorzio rappresenta il modo giusto di “fare rete” per «riuscire a proporre al mercato verdura e frutta per un periodo più lungo possibile, pur essendo coscienti che l’inverno è il periodo di riposo per la natura e per i lavoratori».
Alessandro Neyroz non ha sogni nel cassetto perché dice «Ho fatto tutto quello che i realtà mi piaceva fare. Coltivo, però, la passione per l’allevamento dei polli di razza Oshamo, una qualità di combattenti giapponesi. E continuo a correre per tenermi in forma».
L’ex professore dai tanti «perché?» è sposato dal 1983 con Silvana Lavoyer, insegnante della scuola materna di Pontey dalla quale ha avuto tre figli: Valentina, nata nel 1985, che lavora come contabile alla Crotta di Vegneron, Emanuele del 1987, ingegnere ambientale ora a Amsterdam nei Paesi Bassi e Fabrizio del 1994, che ha scelto il nobile mestiere del falegname. Un amore, quello di Alessandro per Silvana, nato durante la gioventù quando entrambi dovevano spostarsi per lavoro ad Aosta. «Ogni giorno - sorride Alessandro Neyroz - le davo un passaggio, tanto io per forza di cose dovevo andare in città dove insegnavo. Poi un bel giorno qualcosa è scattato tra noi. Ed eccomi qui a raccontare che adesso sono in pensione e che tra qualche mese toccherà pure a lei. Niente più orari vincolanti e cartellino da timbrare. Una nuova vita!»