Giuseppe Dondeynaz, detto «Castel» Decano delle guide di Ayas, antesignano nei mestieri della montagna
Una vita dedicata alla montagna ed ai suoi mestieri. Giuseppe Dondeynaz è l’unico rimasto dei quindici soci fondatori nel 1962 della Società Guide Ayas-Champoluc ed è la seconda guida più anziana della Valle d’Aosta, dopo Antonio Guichardaz che è del 1928, originario di Cogne ed attualmente residente a Gressan.
Soprannominato «Castel», con riferimento alla posizione appartata del villaggio di Les Péyoz a 1.726 metri, appena sopra a Saint-Jacques, dove nacque il 23 novembre 1931, Giuseppe Dondeynaz ha trascorso la sua vita tra i soccorsi in quota, i rifornimenti ai rifugi sui ghiacciai e le escursioni con i clienti, facendo pure il sabotier, il tagliapietre, il muratore e l’addetto agli impianti di risalita di Ayas, dove ha vissuto direttamente gli albori dello sviluppo dello sci da discesa nella sua vallata.
Figlio di Antonio Dondeynaz del 1905 originario di Les Péyoz e di Pasqualina, anche lei Dondeynaz, ma di Blanchard, di due anni più giovane, Giuseppe è il primogenito di sei: dopo di lui Giovanna del 1933, Palmina del 1941, Rosina del 1944, Martino del 1948 e Pietro del 1949. L’estate per «Castel», dai dieci ai quindici anni, voleva dire posare la cartella a casa e fino a settembre salire negli alpeggi, a Beau Bois sopra Fiery per due stagioni e a Granon vicino al Ru Courtaud per tre. Per la sua famiglia era un modo per avere una bocca in meno da sfamare, come succedeva un po' ovunque nella nostra regione. «Non erano alpeggi di famiglia, non ci davano né soldi né caramelle. - ricorda Giuseppe “Castel” Dondeynaz - Al mattino andavamo al pascolo, poi di pomeriggio scendevamo ai fieni a Antagnod, quindi di nuovo in alpeggio a curare le bovine.»
Per lui la scuola è la terza elementare conclusa a Saint-Jacques, seguita dalla quarta e dalla quinta a Champoluc, dove si recava quotidianamente a piedi con i sabots e senza giacca, nonostante le abbondanti nevicate di quegli anni. In prima a Saint-Jacques Giuseppe aveva avuto come maestro Evaldo Obert, che veniva tutti i giorni a piedi da Antagnod e «sapeva giocare e intanto insegnare», sempre di Antagnod era pure la maestra Carmelina Blanc, mentre a Champoluc si ricorda bene di Gilda Favre proprio di Champoluc, insegnante in quarta, «spesso faceva la maglia durante le lezioni» e soprattutto di Battista Dondeynaz «severo ma sapeva insegnare, avevamo imparato perfino a misurare i metri cubi e i tronchi», cose utili in una zona dove al tempo il commercio del legname era una fonte di lavoro. «Sempre nell’ambito della legna - ride Giuseppe Dondeynaz - ero l’addetto ad accatastare davanti alla scuola i ciocchi per la stufa della classe, però spesso dopo avere finito buttavo giù la catasta per rifarla, così da avere la scusa di non seguire le lezioni in classe, che mi annoiavano. Ero un bel monello.»
Sta di fatto che la voglia di non studiare non lo aiuta e così nell’autunno del 1944 è ancora in quinta quando i tedeschi salgono per un rastrellamento. «Era il 28 ottobre del 1944, mia mamma Pasqualina aveva appena partorito mia sorella Rosina, mio papà con gli altri uomini era salito verso il colle delle Cime Bianche. In classe il maestro Battista Dondeynaz ha permesso a noi tutti di rientrare a casa prima, la neve era alta. I tedeschi rastrellavano, facevano razzie nelle case ed erano in cerca dei partigiani. Però noi di Saint-Jacques abbiamo dovuto rientrare passando dai boschi, con il rischio di essere scambiati per dei portaordini dei partigiani e uccisi. Poi i tedeschi si sono fermati in una casa a Saint-Jacques, che avevano adibito a loro caserma provvisoria, così non sono saliti a Les Péyoz e durante la notte è venuta un’altra grande nevicata, così il giorno seguente se ne sono andati.»
Finita la guerra, Giuseppe Dondeynaz trova un primo impiego all’Albergo Bellevue di Fiery fino ai primi anni Cinquanta. Da Saint-Jacques portava a spalla i viveri e le bevande per il ristorante. «Ricordo una domenica in cui all’improvviso erano rimasti senza vino, io quel pomeriggio giovano a calcio, una mia passione fin da bambino e poi anche da adulto, come tifoso del Torino, per noi il Grande Torino. Ho lasciato il nostro campetto improvvisato e mi sono caricato una damigiana da cinquantaquattro litri sulla schiena salendo fino a Fiery.»
Se l’estate il primo lavoro è per il Bellevue, in inverno apprende dal papà Antonio le tecniche dei sabotiers. «Quante volte siamo partiti insieme per andare a vendere i nostri sabots a La Trinité attraverso il Colle della Bettaforca, a volte perfino rientrando in giornata.» E lo commuove ancora il ricordo della nonna Palmina Chasseur, che partiva da sola, a mezzanotte, per raggiungere Alagna così da scambiare fontine e uova con tessuti, passando dal Col d’Olen.
«All’inizio lavoravo con i sabots, facevo la parte interna dello zoccolo, era la più facile. Però come si arrabbiavano se ne rovinavo uno! Poi nel 1953 spaccavo le pietre qui a Saint-Jacques per costruire le nuove case. L’anno dopo ero diventato muratore nei lavori di costruzione dell’Hotel Genzianella, mi davano centoventi lire l’ora: per dieci ore al giorno, in sei giorni, tiravo su settemiladuecento lire, sempre che non piovesse. Ma era troppo poco, ho smesso e sono passato all’impresa che risistemava l’Albergo Bellevue di Fiery: lì prendevo trentamila lire al mese e in più mangiavo al ristorante.»
E’ di quel periodo la consapevolezza che la montagna che lo circondava poteva essere per lui un’occasione di lavoro. Quindi la prima volta che ha portato un cliente alla Testa Grigia era il giorno di Sant’Anna, il 26 luglio del 1956, guadagnando ben ottomila lire, quando per una giornata da dieci ore nell’edilizia arrivava al massimo a duemila. «Un Castore si faceva per undicimila lire ed impegnava un giorno e mezzo» rammenta Giuseppe Dondeynaz, che conosceva i compensi delle guide dell’epoca, tra i quali lo zio della mamma Pasqualina, Augusto Dondeynaz.
Così ha deciso di partecipare al corso da portatore nel 1957, organizzato a Courmayeur, superandolo e successivamente nel 1961 a quello di guida, sempre a Courmayeur, per concluderlo con successo nel giro di un mese. «Comunque c’era anche un’altra motivazione ad essere guide: la voglia di essere un po’ ribelli, fuori dagli schemi, un ruolo perfetto per un monello come me.»
Al lavoro come portatore affianca quello di spallone dal 1957 al 1960, per rifornire il Rifugio Quintino Sella. I viveri e il resto che necessitava arrivavano da Gressoney fino alla Capannina del mulo, come si diceva allora, al colle superiore di Bettolina con appunto due muli che portavano centodieci chili a testa. E da lì al Quintino Sella a spalla, di solito trentacinque chilogrammi per ogni viaggio, talvolta, se c’era la bombola del gas, anche cinquanta. «Ad inizio stagione estiva i muli potevano arrivare solo al Colle della Bettaforca e io cercavo di fondere la neve sul tracciato con la cenere per consentire loro di salire più su. Però di solito rimaneva innevato fino ai primi di agosto. Ho anche portato un pluviometro intero e sulla crestina a momenti il vento mi faceva volare via! Mi ricordo di quei quaranta chilogrammi di dinamite portati con il temporale e i fulmini... per fortuna senza detonatore. Una volta il custode Camillo Roveyaz mi ha fatto giocare alla morra appena arrivato al rifugio, in piedi e con il carico ancora sulla schiena.»
Il gestore Camillo Roveyaz gli trovava i clienti da portare al Castore, che da lì «era una passeggiata», tenendo però metà del compenso per sé, come provvigione. Scen-dendo dal rifugio, Giuseppe «Castel» doveva riportare a valle le bottiglie di vetro, non tanto per una sensibilità ecologica, quanto per renderle e non pagare i vuoti come era prassi in quegli anni. Invece le scatolette di metallo si buttavano tranquillamente giù dai dirupi. «Portavo al Rifugio Sella un’intera noce della coscia di un bovino per volta, di circa quindici chili, che poi veniva conservata sotto una botola nel pavimento con ghiaccio e neve, ed era riservata solo ai clienti più benestanti. Gli altri si dovevano accontentare del the con il rhum e di una minestrina con il dado e la pastina, neppure di un minestrone di verdure. Ho trascorso quattro estati al Quintino Sella, per due mesi di fila, di norma dal 9 luglio al 9 settembre, senza un giorno di riposo. Scendevo a Saint-Jacques solo per fare la spesa. Una volta mi ha sorpreso una tempesta di neve al Colle della Bettaforca, per un attimo ho avuto il dubbio se scendere a Resy, ma pensando alla risalita ho preferito proseguire. Portavo anche la legna che serviva per riscaldare gli ambienti e per cucinare, per questo occorrevano due giri al giorno, uno la mattina, l’altro il pomeriggio. Non c’era ancora il percorso attuale aperto nel 1964, quindi bisognava passare a sinistra della cresta dove erano i tratti nel ghiaccio, nel quale con il piccone si dovevano creare gli scalini per agevolare il passaggio dei clienti. E quello era un lavoro supplementare. Con il carico in spalla percorrevo normalmente il tragitto dal colle di Bettolina al Quintino Sella in cinquanta minuti.»
A Saint-Jacques in inverno si sciava pure, chiaramente lo sci di fondo e a Giuseppe Dondeynaz piaceva, così all’inizio degli anni Cinquanta da junior se la cavava parecchio bene, tanto da arrivare secondo ai Campionati Valdostani dei 10 chilometri, superato solamente dal votornen Pierino Pession, che lo ha battuto per appena tredici secondi. Poi è subentrata la passione per l’alpinismo, legata non solo al lavoro ma anche ad alcune soddisfazioni personale, come quando il 26 febbraio del 1959 insieme a Marco Gaillard compirono la prima traversata invernale dalla Roccia Nera al Breithorn, in un periodo in cui nessuno faceva le salite invernali e per fortuna quella volta non c’era tanta neve.
L’anno dopo essere diventato guida, nel 1962 Giuseppe «Castel» ha fondato, con altri quattordici compagni di lavoro, la Società Guide Ayas-Champoluc, di cui oggi è chiaramente il più anziano componente. Prima nacque nata la società, dopo tante riunioni, necessarie anche per superare il campanilismo tra le guide di Champoluc e quelle di Saint-Jacques, poi è stata costruita la Casa delle guide a Champoluc, in rue des Guides, grazie alle corvées tra i soci.
Ha proseguito il mestiere di guida fino agli anni Ottanta, senza avere mai incidenti con i clienti, anzi facendo spesso il soccorritore, quando ancora si era ben lontani dall’impiego dell’elicottero ed i feriti andavano portati a spalla, così come i morti, fino a poco sotto il Rifugio Ottorino Mezzalama dove arrivavano i muli per traspor-tarli a valle. Giuseppe Dondeynaz era presente anche quando cadde la funivia da Champoluc al Crest l’11 febbraio del 1983, impegnato ad aiutare e a recuperare le vittime in una sera «in cui era caduto un metro di mezzo di neve».
Giuseppe Dondeynaz ha compiuto numerose ascensioni in tutta la Valle d’Aosta e in Svizzera, tra le quali la Nord dei Lyskamm con una cliente, la milanese Cecilia Morpurgo, la Nord dei Dents des Bouquetins, la Nord del Monviso insieme a Giorgio Colli (ognuno con un proprio cliente), che è stata: «La giornata più lunga della mia carriera, partiti dal bivacco di notte, siamo arrivati alle 21 al Rifugio Quintino Sella al Monviso». E ancora il Monte Bianco e il Cervino, la Sud del Dente del Gigante, ricordata come la cima più affascinante e difficile, che infatti «si fa durante il corso guide e non con i clienti», la Sud del Castore.
Come dimenticare poi quella volta nella quale lui e Giorgio Colli erano stati ingaggiati per salire la Punta Dufour, però la Fiat Topolino Giardinetta era così piccola e così piena di gente che Giuseppe «Castel» si offrì di andare a piedi a Gressoney, utilizzando il Colle della Bettaforca attraverso una scorciatoia. Quando la stracarica auto giunse a destinazione trovò Giuseppe Dondeynaz ad attenderla leggendo Tuttosport: da quel giorno Giorgio Colli lo chiamò «il velocista».
Anche se grande e veloce camminatore, «Castel» Dondeynaz è sempre stato molto attento a qualsiasi rischio. «Molto dipende chiaramente dalle condizioni atmosferiche: una montagna facile, se affrontata in condizioni difficili, può essere peggio di una blasonata con meteo favorevole. Ad esempio, quando siamo andati al Polluce con Ernesto Frachey, le condizioni non erano ottimali, perché nevicava. Arrivati sotto la punta, Ernesto ha detto ai clienti “fate una foto e torniamo tutti giù”. Poi, rientrati al Rifugio Mezzalama, siamo andati a dormire e, al risveglio, non abbiamo più trovato i nostri clienti che erano andati via senza pagare ed Ernesto non aveva neppure i loro nomi, questo si che è il rischio-montagna.»
Giuseppe «Castel» Dondeynaz, oltre che guida a luglio e ad agosto, in inverno è stato dipendente delle funivie di Ayas per undici anni, dal 1985 al 1996, alle sciovie di Antagnod e un inverno allo skilift privato da Rovinal a Sapien installato da Angelo Minuzzo, famoso per la sua curva dov’era facile cadere. Con l’arrivo della bella stagione, insieme a Ennio Cugnod e al compaesano di Saint-Jacques, nonché guida, Marco Gaillard, costruiva case e tetti e scavava gli acquedotti a mano, «chilometri di scavi con picco e pala» ricorda: «Da maggio a novembre si lavorava nei cantieri, interrompendosi solo in caso di escursioni con i clienti, bastava infatti avere dieci salite a stagione scritte sul libretto per mantenere valido l’anno ai fini del diritto alla pensione da guida».
Sposato con Elena Fosson, anche lei di Saint-Jacques, nata il 26 aprile del 1934, e conosciuta fin da quando erano bambini, ha avuto due figlie - Marica nel 1964 e Manuela nel 1966 - e due figli - Michele del 1971 e Silvano del 1976. Anche la moglie Elena lavorava alla biglietteria dello skilift alla fine del pistone a Champoluc nell’inverno 1962-63, quando Giuseppe «Castel» seguiva l’impianto e ricorda ancora che «guadagnavamo in proporzione ai biglietti venduti».
A sua volta Marica ha avuto due figli da Bruno Duroux: Christian e Patrik, nati nel 1985 e nel 1990. Patrik ne ha già tre - Chiara, Diego e Sofia - e Christian è papà di Adèle, i quattro bambini del bisnonno «Castel», che ha effettuato la sua ultima salita al Castore nel 1992 a settantuno anni, mentre al Rifugio Quintino Sella è tornato pure più tardi, a rivedere i luoghi delle sue estati di fatica.
Guida emerita, Giuseppe Dondeynaz ha vissuto da protagonista tutti i cambiamenti che hanno segnato la radicale trasformazione del modello «montagna» di Ayas, lui piccolo pastore e apprendista sabotier, muratore nei cantieri che hanno stravolto la sua valle, frequentatore dei rifugi e dei clienti che vivevano l’avventura alpina con uno spirito completamente diverso: la sua è stata un’esistenza intensa, sia dal punto di vista personale che lavorativo, rappresentativa di un’epoca in cui ogni mestiere era in qualche modo antesignano, segnando delle sfide che si rinnovavano di continuo.