Vie Nuove 5-14. Donne alpiniste 6 Roberta Vittorangeli. Un “millennium bug” per la cultura valdostana

Vie Nuove 5-14. Donne alpiniste 6  Roberta Vittorangeli. Un “millennium bug” per la cultura valdostana
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Roberta Vittorangeli è la prima donna guida alpina in Valle d’Aosta. Ancora oggi non sono tante: 7 su 251. 16 in tutta Italia, su circa 1.200. Numeri che non hanno più nulla a che vedere con la pratica sociale dell’alpinismo dove le donne stanno raggiungendo, e in qualche caso superando, gli uomini.

Ammessa all’Unione Valdostana Guide di Alta Montagna nel 2001, Roberta Vittorangeli, medico, appassionata di montagna, è nata in pianura, a Parma, ed è arrivata in Valle d’Aosta nel 1994, dopo aver incominciato ad arrampicare in Trentino e poi in Patagonia, dove nel 1987 aveva sfiorato la prima femminile al Cerro Torre, arresasi alla bufera a soli 50 metri dalla vetta.

Nel suo curriculum ci sono oltre 100 vie di roccia su quasi tutto l’arco alpine, un centinaio di cascate di ghiaccio di cui una trentina in prima salita, ma anche spedizioni al Nanga Parbat, al Manaslu, perfino in Afghanistan, nel 2008. E tanta esperienza maturata nel soccorso alpino.

Non è facile intercettarla nelle sue molte attività, di medico, guida e tecnico del soccorso alpino. E non è nemmeno molto propensa a parlare e scrivere di sé e delle sue attività. Preferisce fare, lontano dai riflettori. Ma di cose da raccontare ne avrebbe molte.

Allora, proviamo a raccontarne qualcuna? Forestiera e donna, non deve essere stato semplice inserirsi in un mondo come quello valdostano, dove proprio non ci sono donne alpiniste, almeno fino a tempi recentissimi, figuriamoci guide alpine?

Sono diventata aspirante guida alpina nel 2000: indubbiamente devo aver rappresentato un bel "Millennium bug" per la cultura locale. Infatti, in Valle d' Aosta ho provato la selezione per accedere al corso per tre volte: se non era la prova fisica, era la prova d'arrampicata molto atletica che mi negava l' accesso al corso. Così ho provato la selezione nazionale e sono passata subito la prima volta. Una volta diventata aspirante guida, mi sono subito iscritta al Collegio valdostano e ho fatto domanda per entrare nel Soccorso Alpino Valdostano come Tecnico di Elisoccorso (già vi lavoravo come Medico di emergenza): mi è stato chiesto di rinunciarvi. Per fortuna, non tutte le guide la pensavano allo stesso modo, anche tra gli istruttori del soccorso, ed io sono abbastanza "testona", per cui non ho mollato e, ad ora, sono ormai 21 anni che opero come Tecnico di Elisoccorso.

Perché anche guida? Già medico, la montagna poteva essere un hobby, non necessariamente anche una professione?

E perché no?! Ho conosciuto la figura della guida alpina quando, nel 1987, sono andata in spedizione in Patagonia per salire la via Maestri al Cerro Torre (arrampicavo da un anno): uno dei componenti la spedizione era Guida Alpina. Io sono di origini parmigiane (piattissima pianura padana) e ho conosciuto la montagna, per caso, molto tardi rispetto a chi abita qui, per cui non conoscevo l' esistenza di questa figura professionale: l' ho trovata interessante. Ero inconsciamente alla ricerca di qualcosa che mi consentisse di far convivere le mie due anime: per il mio equilibrio è importante l' aspetto intellettuale, ma anche l' aspetto fisico ... mi sembrava un buon connubio. Inoltre, non riesco mai a fare le cose a metà.

Era dunque una sfida? Quanto è stato difficile essere la prima?

Una sfida? Sì, prima di tutto con me stessa: volevo vedere fin dove sarei stata capace di arrivare. Quando sono andata al Cerro Torre, sotto sotto, avevo un po' l'ambizione di vivere di alpinismo: il destino non ha voluto che andasse in questo modo... ho mancato la cima per 50 metri.

Inoltre, più di una volta mi sono scontrata con gli aspetti della visione che il mondo dell'alpinismo aveva della donna in montagna e che sono stati sottolineati nelle puntate precedenti da Linda Cottino e Oriana Pecchio: spesso ero in cordata con uomini (quando ho iniziato ad arrampicare, si parla più o meno del 1983, le donne che facevano alpinismo erano veramente poche) per cui la via l'aveva fatta sempre l'uomo ed io ero un’appendice (servivo da portatore e assicuratore). Se una donna era riuscita a fare una determinata salita voleva dire che era banale e, quindi, un uomo era impossibile che non riuscisse a salirla. Per poter arrampicare da capocordata dovevo quasi chiedere per favore e, se mi veniva concesso, chi mi assicurava si mostrava quasi scocciato. E, per finire, il moroso che avevo allora (non sapeva sciare molto bene), ad un certo punto, mi disse "non diventerai mai guida alpina, perché è più facile che io impari a sciare che tu ad arrampicare" ... Ehhh no!

Io non sono in guerra con nessuno, ma se mi vengono messi i bastoni tra le ruote, se mi viene detto "tu no", soprattutto se questo è legato solo al fatto che io sono una donna senza altre motivazioni sensate, allora è la volta che faccio esattamente l'opposto...

Quello che mi fa più arrabbiare è che, dopo quasi 30 anni, è ancora difficile: ci sono ancora uomini che, se faccio una cosa io, o non ha valore o la prendono come sfida e loro devono rifarla alzando l'asticella: durante attività in montagna, questo giochino al rialzo può essere molto pericoloso.

…(continua)

La copertina del libro “Le signore delle cime - Storie di guide alpine al femminile” di Chiara Todesco e, a sinistra, Roberta Vittorangeli

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