Ugo Borga: «Tornerò in Ucraina per raccontare una guerra che nasconde verità scomode»
Ugo Lucio Borga è un fotogiornalista aostano. Il suo lavoro si concentra su conflitti armati e crisi umanitarie. Ha documentato, tra le altre, le guerre in Repubblica Democratica del Congo, Repubblica Centrafricana, Libia, Siria, Somalia, Sud Sudan, Mali, Afghanistan, Iraq, Filippine e Ucraina. I suoi reportage sono stati pubblicati dalle maggiori testate nazionali e internazionali. Lo abbiamo intervistato per una riflessione sulla crisi in Ucraina e sulle conseguenze che avrà sull’Italia e perciò anche in Valle d’Aosta.
Nella sua ormai lunga esperienza di fotoreporter lei è stato nel Donbass per testimoniare la guerra che insanguina quest'area dal 2014. Che idea si è fatto di questo conflitto, quali sono le sue vere motivazioni?
«Sono entrato, la prima volta, in Donbass nel gennaio del 2015. Avevo ottenuto accrediti civili e militari sia da parte del Governo ucraino che da parte dell’autoproclamata Repubblica di Donestk, quindi ho lavorato su entrambi i fronti di guerra, anche al seguito di formazioni militari e paramilitari separatiste. Ci sono tornato spesso negli anni successivi e ovviamente con una certa regolarità da quando è iniziata l’escalation di febbraio. La guerra in Donbass è determinata da fattori perlopiù esogeni: il graduale avvicinamento dell’Ucraina all’Unione Europea e alla Nato - precedente e successivo alla rivolta di Maidan - ha colliso con l’indisponibilità della Federazione Russa a cedere ulteriore terreno alle potenze occidentali. Si può dire, semplificando al massimo, che la volontà della maggioranza degli ucraini di cambiare il loro Paese abbia incontrato il favore - e l’interesse - delle diplomazie e dei governi occidentali, che non hanno però saputo valutare i rischi dell’operazione e hanno sottovalutato colpevolmente il conflitto in Donbass, sino alle conseguenze che vediamo ora. Ovviamente, per scatenare il conflitto, la Russia - che senza dubbio è l’aggressore - ha agito, in Donbass, su leve etniche, linguistiche, religiose, creando una frattura: una tipica operazione di war making, di costruzione della guerra, che non ha nulla a che vedere con le reali cause del conflitto».
A suo avviso questa guerra durerà ancora a lungo?
«Questa guerra è tante cose: per semplificare e rispondere a questa domanda, prenderò in esame uno solo dei suoi aspetti. La guerra in Ucraina è anche una proxy war, una guerra per procura: ovvero una guerra che si combatte su suolo ucraino e con il sangue ucraino, ma i reali contendenti sono altri. Quindi durerà fino a quando i reali contendenti, ovvero gli Stati Uniti e la Federazione Russa, non decideranno che è necessario trovare un accordo. Non cito l’Europa perché di fatto si limita a seguire pedissequamente la linea dettata da Washington, nonostante sia innegabilmente e drammaticamente fallimentare, come hanno dimostrato le disastrose e criminali campagne d’Iraq e Afghanistan».
Le sanzioni alla Russia sono giuste o andrebbero riviste?
«Nessuna sanzione economica è in grado di abbattere un regime o di fermare un conflitto. Questo ce lo insegna la storia. Nel caso della Russia, questo è tanto più vero perché è un Paese che ha risorse illimitate sia nel campo energetico che agroalimentare. Inoltre, è necessario ricordare che i Paesi emergenti e le grandi economie asiatiche, ovvero i Paesi più popolosi del pianeta, non hanno condannato l’invasione e non hanno aderito alle sanzioni. Ciò significa, sostanzialmente, che le sanzioni sono state utilissime per esacerbare il conflitto, impedendo alle diplomazie di fare il loro lavoro, poco significative o non determinanti per la Russia, che può facilmente rivolgersi ad altri mercati, drammatiche per l’Unione europea, che rischia di precipitare in una crisi economica senza precedenti, e un vantaggio straordinario per gli Stati Uniti, la cui moneta non è mai stata così forte rispetto all’euro e che vede realizzarsi il sogno di una Europa finalmente in conflitto con la Federazione Russa. La corsa al riarmo e la fragilità finanziaria dell’Europa, inoltre, avvantaggiano indiscutibilmente l’industria bellica e le speculazioni finanziarie che, al di là delle dichiarazioni ottimistiche, non possono essere facilmente controllate da nessun governo».
Esiste il rischio reale di una terza guerra mondiale?
«Dubito ci sarà una terza guerra mondiale, perché la natura dei conflitti armati è cambiata. Viviamo nell’era della guerra ibrida, fatta di centinaia di conflitti su scala globale di cui raramente si parla. La guerra in quanto tale, così come l’abbiamo studiata sui libri di storia, non esiste più: al suo posto esistono operazioni speciali, missioni di stabilizzazione, missioni antiterrorismo, operazioni di destabilizzazione, destrutturazione, delegittimazione che iniziano ben prima che le bombe cadano dal cielo e proseguono anche dopo. Ciò che viviamo ora, purtroppo, è nulla a confronto dei conflitti che ci attendono, determinati dalla crisi climatica e dai suoi effetti».
Cosa si dovrebbe o potrebbe fare per ristabilire la pace?
«La pace si costruisce durante la pace. Quando la violenza si scatena, è lei a dettare le regole. Diciamo che sappiamo benissimo come far esplodere un conflitto, ma non abbiamo nessun controllo su quello che accadrà dopo. Troppe variabili, poche competenze. Per capire qual è il grado di approssimazione e faciloneria con cui le grandi potenze entrano in guerra, basterebbe leggere “Dossier Afghanistan”, di Craig Whitlock. Lo consiglio. La verità, è che siamo in mano a persone la cui impreparazione ha dell’incredibile, a partire dai vertici».
Ha dei contatti con ucraini che la informano sulla situazione attuale?
«Ho moltissimi contatti e aggiornamenti costanti da varie zone del fronte. Soprattutto, ci sono molte persone con le quali ho condiviso tantissimo, anche sul piano umano. Si diventa amici in fretta, al fronte. E’ forse il vero motivo per cui continuo a tornare, in questa come in altre guerre. Una questione affettiva, personale, prima che giornalistica».
Nei suoi programmi c'è quindi un ritorno in Ucraina per un nuovo reportage?
«Tornerò in Ucraina a breve e continuerò a seguire il conflitto in Ucraina come tanti altri».