Vie nuove 5.10Donne alpiniste 2. Linda Cottino: “La storia dell’alpinismo andrebbe riscritta”.
Giornalista, ex direttore della rivista “Alp”, collaboratrice di varie case editrici, alpinista lei stessa, Linda Cottino è la maggiore esperta italiana di storia dell’alpinismo femminile. Tema a cui ha dedicato finora tre libri, oltre a numerosi articoli. Ha ricostruito su documenti di prima mano la drammatica vicenda di una spedizione di otto donne sul Pik Lenin nell’Unione Sovietica del 1974 (Qui Elja mi sentite, Vivalda 2001); poi la vicenda di Alessandra Boarelli e delle sue scalate al Monviso del 1863-64 (Nina devi tornare al Viso, Fusta 2019). Recentissima è la raccolta del dialogo epistolare con Silvia Metzeltin, alpinista e studiosa della montagna, sull’alpinismo praticato dalle donne (L’alpinismo è tutto un mondo, ed. CAI 2022).
Linda, partiamo da lontano. Sembrano esserci poche donne all’origine dell’alpinismo e per tutto l’Ottocento rimangono una piccola minoranza, almeno quelle di cui si ha memoria. Perché le donne non andavano in montagna, perché non lo raccontavano?
Sul fatto che le donne fossero poche non sono così d’accordo, in rapporto agli uomini intendo; non dimentichiamo che si trattava di un’attività elitaria. Le mie ricerche hanno dimostrato che molte di loro hanno compiuto numerose “prime” di cui purtroppo non si sa nulla, anche perché non era loro consentito parlare di sé e delle proprie imprese. La storia dell’alpinismo andrebbe riscritta per essere integrata e completata.
Quali erano i maggiori ostacoli all’alpinismo femminile?
Per la morale ottocentesca la montagna era altamente sconsigliata alle donne e quelle che avevano la forza di opporsi alle costrizioni sociali per seguire la propria inclinazione, i propri desideri e il senso dell’avventura erano un numero esiguo. Si diceva che le donne non avessero né la forza fisica né la tenuta psichica per affrontare le difficoltà poste dall’alpinismo. È stato dimostrato il contrario. In fondo, non si credeva che la terra fosse piatta?
Si può dire che andare in montagna per le donne sia stato inizialmente un gesto trasgressivo, perfino rivoluzionario?
Direi assolutamente sì. L’azione delle prime due generazioni di alpiniste, soprattutto inglesi e qualche americana, tra gli anni Cinquanta dell’800 e la fine del secolo, ha dimostrato alle donne di potercela fare, bastava volerlo. Questo ha infuso fiducia, volontà di autodeterminazione e indipendenza che, magari inconsapevolmente, ha aperto la strada alle lotte per i diritti civili e a quel che ne è seguito.
Quando e perché si è incominciato ad accettare la presenza femminile in montagna? Mi pare che negli anni Trenta troviamo già alpiniste molto rispettate, seppure poche e spesso escluse dai club accademici.
Il fascismo, col suo culto del corpo e della prestanza fisica, benché relegasse la donna ad angelo del focolare, diede uno slancio nuovo di cui alcune donne seppero approfittare. Già nel 1921 in Inghilterra le alpiniste migliori avevano creato il Pinnacle Club e nel 1929 una cordata francese di sole donne aveva superato la fessura Mummery al Grépon, che era considerata la più tecnica e difficile delle Alpi. Negli anni Trenta, in Italia, si è affermata una triade di assoluto valore: Ninì Pietrasanta, Mary Varale e Paula Wiesinger.
È il femminismo o la diffusione dell’arrampicata sportiva che ha portato tante donne in montagna?
L’alpinismo, nonostante si aggrappi a un’idea di mondo separato, di fatto non lo è. Dunque gli anni Settanta del secolo scorso, con le conquiste civili frutto anche delle lotte femministe, hanno gettato il seme di una maggiore e più consapevole frequentazione della montagna da parte delle donne. L’arrampicata sportiva, che ha reso palese l’abilità femminile nell’affrontare alte difficoltà tecniche, ha fatto il resto.
Si può dire che oggi si è raggiunta la parità?
La parità, in una società che resta saldamente organizzata su bisogni e pulsioni maschili, non è mai raggiunta. Si possono fare dei passi avanti, ma le trappole sono all’ordine del giorno, e per una donna realizzare compiutamente se stessa è una battaglia incessante.