Enfer d’Arvier, i cinquant’anni della Doc Dall’«Inferno» uno dei vini più pregiati
Cinquant’anni sono trascorsi. Mezzo secolo di storia tutta da festeggiare per l’Enfer d’Arvier, un’eccellenza vinicola valdostana che nel 1972 ottenne la Doc, la Denominazione di origine controllata. E oggi, sabato 6 agosto, è tutto pronto per rendere onore al prestigioso vino prodotto da uve coltivate nei vigneti di Arvier, posti a oltre 800 metri di quota alla sinistra orografica della Dora Baltea sui terrazzamenti ben visibili da chi percorre la strada statale in direzione Courmayeur o, viceversa, verso Aosta. Un fazzoletto di terra la cui visione dall’alto rende ancora di più l’idea di cosa sia quel tipo di viticoltura che da sola dice tutto: Eroica!
Anno 1972, l’Enfer d’Arvier è Doc
Dieci lustri non bastano per «raccontare» Arvier e il suo vino. Nel 1972 il vino Enfer ottenne la Denominazione di origine controllata, secondo in ordine di tempo a fregiarsi dell’importante marchio, giacché il primo ad ottenere la Doc in Valle d’Aosta fu il Donnaz nel 1971.
Il riconoscimento della Doc all’Enfer d’Arvier è da ascrivere a Giuseppe Thomain (foto d’antan a pagina 66) ed ai suoi figli Giulio e Maurizio che insieme portarono alla ribalta del grande pubblico il vino da loro prodotto. Alla scomparsa del padre, i due fratelli Thomain si divisero la storica vigna di famiglia, Maurizio e suo figlio Danilo scelsero di avviare una loro azienda vitivinicola, Giulio preferì promuovere insieme a Luigi Nardo e Primo Vection la nasciata della Cooperativa Enfer di cui fu tra i soci fondatori, divenendone pure presidente.
Testimonianze di oggi con uno sguardo al passato
Di generazione in generazione, la storia dei Thomain di viticoltori dell’Enfer iniziò nel 1920 proprio con Giuseppe e, oggi, prosegue con Danilo, il nipote che ha preso le redini dal padre Maurizio e che spera un giorno di trasmettere a sua volta al figlio Amedeo e «chissà, forse un domani anche ai miei nipoti».
Ed è Danilo che ricorda, attraverso i racconti a lui fatti dal papà Maurizio e dallo zio Giulio, che «Durante la notte dal paese, nelle vigne si assisteva a un continuo andirivieni di persone con le lanterne a petrolio per vedere dove mettevano i piedi, che andavano ad irrigare approfittando dei periodi in cui il torrente Gaboé non era in secca. Festeggiare questi cinquant’anni anni della Doc è per me una grande soddisfazione che con il pensiero riporto anche a chi ora non c’è più, ma ha fatto tanto per arrivare a creare questo meraviglioso anfiteatro naturale. Nel traguardo che celebriamo vedo il lavoro inizialmente di mio nonno Giuseppe, un lavoro che nel tempo non è andato perso e che spero non si perda in futuro. Siamo passati dagli anni Ottanta e Novanta quando l’agricoltura era vista come la “cenerentola” del lavoro ad un periodo in cui si sta tornando a valorizzare il lavoro nei campi, nei prati e nelle vigne. Si riscopre il valore dell’agricoltura e della coltivazione dei vigneti. E’ un aspetto è impagabile.»
Oggi, purtroppo, ad Arvier sono scomparsi i più anziani protagonisti di quei tempi il cui la Doc rappresentava un traguardo e che potrebbero raccontare di un passato di faticoso lavoro nelle vigne. La loro testimonianza è però scritta nell’opera di recupero del territorio che per le sue particolari caratteristiche è da soprannominato «Inferno».
Nel 2022 i produttori di Enfer d’Arvier Doc, sono quattro. Oltre a Danilo Thomain, sono Mauro Luboz (Vin des Loups), Gil Martinet (La Toula) - un giovane viticoltore della zona che oggi, in occasione del cinquantennale, battezza la sua prima etichetta con il nome «Noble Pierre» - e la CoEnfer che da sola coltiva e gestisce circa sette ettari di territorio.
«La nostra è sempre stata la classica famiglia di contadini, con qualche metro quadrato da coltivare sui terrazzamenti sotto Saint-Nicolas. Ho colto la palla al balzo per presentare la mia prima bottiglia di Enfer d’Arvier Doc - dice con orgoglio Gil Martinet - e sono molto contento. Le vigne che coltivo sono in parte da me affittate, mentre altri appezzamenti erano di proprietà di mia nonna paterna Rita Pellissier. Il mio obiettivo è stato, quindi, di mantenere e valorizzare questi terreni. Quest’anno punto a produrre intorno alle cinquecento bottiglie. Il prossimo sarà un’altra cosa, perché vorrei arrivare ad almeno una produzione di duemila bottiglie. Comunque, una produzione davvero di nicchia in onore dei miei nonni, innanzitutto, Rita Pellissier appunto e Armando Martinet, nonché dei miei altri nonni Eva Dégioz e Renzo Nicolussi e dei miei genitori Leo e Liliana senza i quali molto cose non sarei riuscito a farle.»
Mauro Luboz coltiva la vigna di famiglia dove andava da bambino insieme allo zio Jules Roullet e che, per molti anni, è stata destinata alla coltivazione di erba medica, fino a quando ha deciso di riprendere in mano il passato. «Quando pensai di coltivare quei pezzi di terra di nostra proprietà, non sapevo neppure da che parte iniziare - racconta Mauro Luboz -, perché non avevo mai lavorato un vigneto. Mi ha convinto a farlo Fabrizio Prosperi, esperto consulente di viticoltura. Era il 2006 e mi sono buttato a capofitto in questa bellissima esperienza. Tutto è quindi nato per caso ma ora mi piace moltissimo stare in vigna, seguire il ciclo naturale della maturazione dell’uva e lavorarla in cantina per ottenere un vino di qualità in onore dei mie avi. Credo che questi primi cinquant’anni anni della Doc che festeggiamo oggi, sabato, dicano davvero tutto della viticoltura di Arvier.»
Arvier e il suo “Inferno”
La coltivazione della vite in Valle d’Aosta ricopriva un ruolo importante già nel Medioevo, tuttavia nella seconda metà dell’Ottocento la viticoltura valdostana ha rischiato di essere compromessa da gravi malattie. I vitigni di Arvier furono tra primi a essere colpiti dalla fillossera e tutto dovette ripartire nella zona attuale dell’Enfer, compresa tra i Comuni di Arvier e di Avise, su quei terrazzamenti dove durante l’estate si registrano giornate bollenti e le pietre diventano incandescescenti e l’uva matura del Petit Rouge (come anche di altri vitigni tra cui Pinot gris e Mayolet) si trasforma in un vino che può anche raggiungere i quattordici gradi. Poi superata la zona di Arvier si ferma la produzione di vino rosso e si passa ai vigneti più alti d’Europa, tra La Salle e Morgex dove si produce il Vin Blanc de Morgex et La Salle. Un altro vino, un’altra storia.
Il territorio dei vigneti di Arvier, che sono esposti a sud a oltre 800 metri di quota, è fortemente caratterizzato da un microclima molto caldo. Talmente caldo che, proprio per questo motivo la zona prende sin dall’antichità il nome di Enfer. A tale proposito, tra la fine dell’Ottocento e la seconda metà del Novecento, periodo in cui «La vigna rischia quasi di scomparire - così è riportato nel libro “Arvier. Una comunità nella storia” edito da Musumeci nel 2004 - in un territorio che ha valorizzato questa coltura almeno per un millennio. Gli antichi terrazzi costruiti dagli avi con la sola forza delle braccia diventano preda di rovi e sterpaglie e i vecchi muri cominciano a crollare».
Eppure la storia narrava che nel 1494 il re di Francia Carlo VIII, di passaggio in Valle d’Aosta, fu ricevuto dal priore Giorgio di Challant che gli offrì grandi quantità del vino di Arvier. I primi riscontri dei metodi di coltivazione della vite nel territorio di Arvier e Leverogne riportano proprio al XV secolo. È così, infatti, che nei documenti dell’epoca si comincia a leggere dell’esistenza di un «pergolato alto» (thoppie): un nuovo metodo per coltivare la vite utilizzando pali di legno per sostenerla alta dal terreno.
Però, nel periodo compreso tra la prima e la seconda guerra mondiale, Arvier ha subito un forte abbandono della pratica della viticoltura, fatta eccezione per gli intrepidi che dagli anni Trenta iniziarono a recuperare qualche piccolo appezzamento, a forza di mani e muscoli e con l’aiuto dei muli, trasportando il materiale e scendendo fino in Dora per riempire le brente di metallo con l’acqua. E sempre in quel periodo vennero introdotte le barbatelle di Petit Rouge che si adattarono bene al clima e all’esposizione «infernale» di quei terreni.
«Nel 1959 - racconta la presidente della cooperativa CoEnfer, Sara Patat - fu istituito un consorzio di miglioramento fondiario per rielaborare i vigneti, nuovamente abbandonati nel secondo dopoguerra. I lavori finirono nel 1976 e nel 1978 fu inaugurata la CoEnfer, l’anima di Arvier, in un momento in cui grazie all’Amministrazione regionale, alla passione e alla tenacia degli agricoltori si registrò un notevole miglioramente della viticoltura di chez-nous che uscì da una crisi durata un secolo e mezzo.»
La CoEnfer nasce nel 1978
Sei anni dopo l’ottenimento della Doc per l’Enfer d’Arvier, nel 1978 appunto nacque la CoEnfer, con primo presidente Oreste Glarey, una piccola cooperativa per gestire l’intera filiera, dalla coltivazione delle vigne, alla vendemmia fino alla trasformazione dell’uva in vino e alla commercializzazione del prodotto in bottiglia. Dopo Oreste Glarey presidente fino al 1982, fu la volta proprio di Giulio Thomain sino al 1984, poi Luigi Nardo per sedici anni, che lascò il posto a Fausto Ballerini fino al 2003, quindi Christian Alleyson sino al 2012 e da allora Sara Patat.
«Dal 1978 non sono mancati i momenti altalenanti - racconta Sara Patat -, fino a quando alla fine degli anni Novanta l’Amministrazione regionale promosse la costruzione in località Clou della nuova cantina, inaugurata nel 2004 ed alla quale fanno capo un centinaio di soci, che conferiscono gli appezzamenti di terreno situati a Arvier e ad Avise. Il nostro è un vino di nicchia, prodotto in appena quarantamila bottiglie.»
«Questa ricorrenza - commenta la presidente Sara Patat - è importante per tutta la comunità di Arvier soprattutto. Un bel traguardo davvero, un omaggio rivolto a chi ha lavorato tanti anni questi vigneti evitando il degrado della montagna. Grazie al lavoro dei nostri predecessori abbiamo un anfiteatro naturale meraviglioso, esempio tangibile di quello che generazioni di soci hanno fatto, motivo per noi di grande orgoglio. La celebrazione di oggi è, pertanto, un ringraziamento a coloro che hanno dato vita a questo patrimonio apprezzato da tutti. La Valle d’Aosta non è solo il regno delle montagne più alte, è anche il regno della viticoltura eroica, come la nostra.»