Sono “andati avanti” Giorgio Rulfi e Osvaldo Bartolomei, gli ultimi reduci del Battaglione sciatori Monte Cervino
Luglio è il mese dell’annuale commemorazione a Breuil-Cervinia di Valtournenche del Battaglione sciatori Monte Cervino ma quest’anno è stato il mese degli addii, perché nel giro di pochi giorni è rimasta solo la memoria di quanto è stato trasmesso, non più la memoria dei vivi. Se ne sono andati a cento anni, Giorgio Rulfi di Frabosa Soprana, il cui funerale è stato celebrato sabato 2, il giorno prima della festa dei “cervinotti”, e nella notte tra lunedì 18 e martedì 19 Osvaldo Bartolomei, l’ultimo degli ultimi “diavoli bianchi”.
Se infatti Maggiorino Stevenin di Gaby nell’ottobre del 2013 era stato l’ultimo ad andarsene del Battaglione Monte Cervino impegnato nel conflitto sul fronte greco-albanese, l’ultimo di tutti era un alpino dell’appennino toscano, Osvaldino Bartolomei. Così dopo ottant’anni si è chiuso un cerchio ed ora tutti i “cervinotti” sono lassù, la maggior parte ancora sepolta sotto i girasoli dell’Ucraina o tra le pietre dei monti della Grecia.
Entrambi avevano superato i cento anni, Giorgio Rulfi del 18 settembre 1921, Osvaldino Bartolomei del 1922, nato il 20 di maggio. Entrambi erano ottimi sciatori, Rulfi aveva imparato sulle montagne cuneesi, Bartolomei su quelle dell’Abetone, ma la loro storia con il Battaglione Monte Cervino è stata diversa. Arruolato nel gennaio del 1941 al Battaglione Mondovì, Giorgio Rulfi venne scelto per essere trasferito ad ottobre ad Aosta ed entrare a fare parte del ricostituito Monte Cervino, dopo che il reparto era stato annientato in Grecia, con più di quattrocento tra caduti e feriti su seicento uomini. A dicembre partì per la Russia, per prendere parte a tutte le operazioni del Battaglione fino al tragico epilogo del 15 gennaio 1943 quando a Rossosch il Battaglione Monte Cervino rimase quale unica retroguardia per proteggere la ritirata del Corpo d’Armata Alpino. Giorgio Rulfi venne catturato dai cavalieri siberiani il 20 gennaio e conobbe la terribile esperienza della prigionia nei campi di lavoro sovietici, raggiunti dopo l’implacabile “marcia del davai”, cammina o muori. Prima Tambov, poi altri luoghi e dopo quasi tre anni di prigionia, nell’ottobre del 1945 venne trasportato a Berlino per essere consegnato ai soldati americani e la sera del 4 dicembre 1945 raggiunse Mondovì da dove salì a Frabosa Soprana.
Osvaldino Bartolomei invece non è destinato al Monte Cervino. Nativo di San Marcello Pistoiese, come tanti della sua zona diventa alpino. E’ chiamato alle armi nel gennaio del 1942, a Levico, nel Battaglione Bolzano. E’ piccolo di statura e magro magro ma vedono subito che è un ottimo fondista, così lo mandano a Corvara al corso di sci, poi al campo estivo a Moena. E’ - guarda la coincidenza di date - il 3 luglio del 1942 quando lo convocano per dirgli che è trasferito in Russia al Battaglione Monte Cervino, che deve rimpiazzare caduti e feriti con appunto quelli che in gergo sono chiamati “complementi”. A Treviso riceve la divisa speciale dei “cervinotti” e il 16 luglio sale sul treno, nove giorni di viaggio ed arriva alla sua nuova destinazione, prima compagnia agli ordini del capitano Giuseppe Lamberti. Da quel momento Osvaldo Bartolomei sarà a fianco del famoso ufficiale - che fu anche direttore delle Funivie del Cervino e amministratore di La Magdeleine - in ogni fase dei combattimenti che caratterizzano il 1942 con i sanguinosi scontri di dicembre a Ivanovka e Zelenyj Jar, con tanti morti nelle fila dei “diavoli bianchi”. Poi il 15 gennaio 1943 Osvaldo Bartolomei si trovava a Rossosch, all’attacco di un T34 sovietico che sprofondato nel fiume Kalitva fu uno dei dodici carri armati distrutti dai nostri alpini quel giorno. Quella stessa sera accusò un forte attacco di febbre e il medico, il tenente Domenico Lincio, gli diagnosticò una grave bronchite. Quindi al mattino del 16 lo caricarono sui camion dei feriti e i due mezzi partirono sotto il fuoco dei cannoni dei T34, velocissimi in mezzo agli scoppi: solo uno passò, l’altro fu colpito e morirono tutti.
Osvaldo Bartolomei venne prima ricoverato in ospedale poi inviato in Italia a Rimini. Dopo la convalescenza raggiunse Aosta, senza sapere nulla di quanto era successo ai suoi amici, agli altri alpini del Monte Cervino. Rientrato al Battaglione Bolzano a Vipiteno, il 9 settembre 1943 venne catturato e deportato in Germania, dove fu occupato come prigioniero militare alla fabbrica dell’Auto Union a Zschopau in Sassonia, fino alla liberazione, avvenuta l’8 maggio del 1945 da parte degli americani, con rientro a casa il 7 luglio (altra coincidenza) del 1945 appunto. Iniziò per lui l’attesa e invece al villaggio Maresca non tornò nessuno e Osvaldino capì che era rimasto solo, perché tutti i suoi cinque amici d’infanzia erano rimasti nella steppa.
La consapevolezza di essere parte di una piccola grande storia ha portato Giorgio Rulfi e Osvaldo Bartolomei a diventare testimoni della tragedia che avevano vissuto, sempre presenti alle commemorazioni, a luglio salivano entrambi alla cappelletta sopra Breuil-Cervinia e pure si prestarono ad essere intervistati, come accadde grazie al lavoro dell’aostano Aleardo Ceol, scomparso a maggio, che raccolse i loro ricordi ne “La voce dei supersisti”, il libro dedicato al Battaglione sciatori Monte Cervino, ai suoi alpini che gridavano “Pista!” e che ormai sono tutti in cielo.