I 100 anni dell’alpino Alfonso Pastoret, reduce della Seconda Guerra Mondiale
Una vita come un romanzo. Ha compiuto 100 anni mercoledì scorso, 22 giugno, Alfonso Pastoret, per tutti “Fontche”, di Gignod. Da alcuni mesi, per problemi di salute, è ospite alla microcomunità di Roisan, dove lo hanno festeggiato i figli Ennio e Edy e una delegazione degli Alpini di Gignod guidata dal capogruppo Carlo Gagliardi. Per l’occasione è tornato anche lui a indossare quel cappello con la penna nera che per la prima volta aveva messo sul capo quando era solo un ragazzo, destinato a diventare uomo molto in fretta.
Classe 1922, Alfonso Pastoret entrò in caserma alla Testafochi di Aosta il 30 gennaio del 1942, alpino del Battaglione Aosta, con cui fu spedito a combattere in Montenegro. Arrivò l’ordine di spostarsi a Foca, cittadina dell’Erzegovina, dove la sua Compagnia - la 42esima agli ordini del capitano Gualtiero Pozzi - ai primi di aprile del 1943 fu circondata dai guerriglieri di Tito, che si erano piazzati nelle colline attorno alla città. «Si diceva che fossero diverse migliaia e che avevano intenzione di farci fuori tutti» raccontava. Poi l’arrivo dei rinforzi ruppe l’assedio ma poco dopo l’armistizio portò il caos. Seguì la resa dei militari italiani ai tedeschi e la deportazione in Germania. «Una volta disarmati siamo stati internati in Albania, poi a Belgrado dove ci hanno imbarcati sui battelli che risalivano il Danubio fino a Vienna e da qui su carri ferroviari bestiame fino in Germania. Il viaggio è stato disumano: schiacciati come sardine, senza niente da mangiare e bere per 7 giorni!». Alfonso Pastoret fu internato prima al campo di smistamento di Meppen, poi a Homberg, cittadina dell’Assia vicina a Duisburg e Dusseldorf, dove fu assegnato a una fabbrica di fosforo per le bombe degli aeroplani. Nella primavera del 1945 gli americani bombardarono il monastero dove lui e altri prigionieri dormivano: “Fontche” ne approfittò per scappare ma le sue peregrinazioni dovevano durare ancora a lungo prima di poter finalmente rientrare in Valle d’Aosta. Arrivò a Gignod il 2 settembre, una domenica.
Senza niente era partito, senza niente tornò, nemmeno un lavoro, ma non si scoraggiò. Negli anni ha fatto il contadino, il boscaiolo, lo stagionale alla Birra Aosta, anche il camionista. Al suo fianco c’è sempre stata Rina Henriet, sua moglie dalla primavera del 1949, compagna e complice di una vita, che si è spenta nello scorso mese di agosto.