«Tra diversificazione e autonomia per superare la crisi energetica senza escludere un inceneritore»
Riceviamo da Jeannette Fosson - ex insegnante e consigliera comunale dell'UV ad Aosta con alle spalle una lunga esperienza politica - e volentieri pubblichiamo una acuta riflessione su temi di scottante attualità quali la guerra in Ucraina e la conseguente crisi energetica. Al di là dell’analisi puntale di quanto sta accadendo e di come potrà evolversi la situazione, Jeannette Fosson offre interessanti spunti di riflessione su come affrontare a livello locale il preoccupante scenario che si profila all’orizzonte, tra cui anche il rilancio dell’ipotesi di un termovalorizzatore, proposta bocciata dalla Valle d’Aosta con il referendum di 10 anni fa e invece realizzata con profitto - dato che l’impianto produce energia - e nel rispetto dell’ambiente a Bolzano.
Dopo 3 mesi dall’inizio del conflitto non è ancora chiaro come la situazione potrà evolvere e come si potrà arrivare ad una fine effettiva della guerra. E’ certo che sul suolo europeo ci sono molti, troppi morti, feriti, sfollati e macerie a non finire. Consci che la solidarietà deve essere motore di pace e ricostruzione, al momento, possiamo solo sperare nella fine della guerra.
Nel frattempo, il montante esorbitante delle bollette del gas e dell’energia elettrica che le nostre famiglie si trovano a dover pagare ci preoccupano quanto le conseguenze impattanti che questo aumento può avere su tutti i settori industriali, oltre che sul riscaldamento/raffreddamento delle nostre abitazioni. Nonostante gli interventi di Stato, recentemente reiterati, per neutralizzare il caro-bollette riducendo la pressione fiscale sull’energia, che incide per il 41 per cento (la più alta d’Europa), in Italia il prezzo dell’energia elettrica è il secondo più alto in Europa, poco più basso di quello spagnolo, ma 35 per cento più alto di quello tedesco.
Quel che è peggio, è che il problema non è solo il prezzo dell’energia, ma è quello della disponibilità delle forniture.
Dai dati pubblicati su vari quotidiani che evidenziano la provenienza del gas, constatiamo che la Francia, grazie al nucleare, dipende meno di altri dal gas russo mentre l’Italia è il Paese più penalizzato soprattutto nel caso volesse - o dovesse - rinunciare ai 29 miliardi di metri cubi provenienti dalla Russia, perché questi sono pari al 40 per cento dell’importazione totale di gas. Il Belpaese, che nel 1990 estraeva 20 miliardi di metri cubi di gas ridotti ai 3,5 miliardi odierni, ha infatti rinunciato ad estrarre gas dai suoi giacimenti in Adriatico, abbandonando ogni regola di autonomia oltre che di buon senso. L’Italia inoltre non ha provveduto a costruire impianti di rigassificatori in grado di stoccare il gas liquefatto proveniente da Qatar, Stati Uniti o da altri Paesi produttori, attuali o potenziali rifornitori di gas, situati soprattutto in Africa dove l’ENI ha già in concessione alcuni giacimenti, così come non sfrutta a sufficienza tutte le fonti di energia rinnovabile, acqua, vento, sole.
Tutti coinvolti dalla guerra in corso, stiamo prendendo coscienza che il settore dell’energia va riconsiderato nel suo complesso. Non si tratta solo di puntare al risparmio energetico, alla maggiore efficienza e alla ricerca di fornitori alternativi alla Russia o di definire quali sono le fonti alternative che dovranno sostituire i combustibili fossili, ma di tenere ben presente le regole fondamentali quali diversificazione e autonomia, e di agire di conseguenza.
Il presidente del Consiglio Mario Draghi, il 9 marzo scorso, nell’aula del Parlamento italiano ha fatto un importante intervento nel quale, tra l’altro, ha detto che in questo momento di emergenza è urgente intervenire sui termini fissati per la transizione ecologica e sulla diversificazione delle fonti di approvvigionamento, nonché sull’attuale impianto regolamentare che rallenta in modo non accettabile le scelte programmatiche e le realizzazioni delle decisioni. Sottolineando che, nel lungo periodo, il contributo delle fonti rinnovabili va comunque considerato fondamentale, il presidente Draghi ha anticipato che il consorzio Eurofusion, di cui l’Italia è membro, sta sviluppando progetti e studi su un prototipo di reattore a fusione la cui entrata in funzione, prevista nel 2025-28, sarà in grado di produrre energia pulita e sostenibile. A tal proposito, va ricordato che il nucleare è stato inserito dalla Commissione Europea tra le fonti utili alla transizione ecologica.
In Valle d’Aosta, facendo riferimento a quella che il già presidente della Regione Dino Viérin ha definito “une longue histoire toute valdôtaine”, c’è l’urgenza, forse solo marginalmente percepita da chi di dovere, di salvaguardare la Compagnia Valdostana delle Acque-CVA, riconoscendone la piena operatività quale concessionario, rimuovendo gli ostacoli ed i vincoli di scopo e di attività imposti dalle attuali normative e mantenendo quindi in capo alla Regione Valle d’Aosta la titolarità delle concessioni ad uso idroelettrico ed i benefici ambientali, economici ed occupazionali derivanti. Questo è un dovere morale che è sentito da ogni Valdostano che conosce la storia della nostra Regione.
Riconosciuto il valore fondamentale dell’acqua quale fonte rinnovabile e in considerazione della rilevanza strategica che le centrali idroelettriche valdostane hanno sia per la sicurezza del sistema energetico sia per l’autonomia energetica, regionale e nazionale, le concessioni ai titolari delle concessioni già operanti in Valle d’Aosta dovrebbero essere riproposte per un numero congruo di anni, superiore ai 30 attuali. D’altra parte, sarebbe auspicabile che l’Italia si allineasse ai Paesi europei maggiori produttori di idroelettrico che salvaguardano le proprie concessioni sia nei processi di assegnazione sia nei limiti temporali delle concessioni stesse. Inoltre è urgente approvare il progetto di aggiornamento del “Piano di tutela delle Acque” e le collegate “Norme tecniche di attuazione”, fermi negli uffici dell’Amministrazione regionale dal 2017, rivedendone alcuni punti, in particolare quello riguardante il superamento della portata media derivabile e questo, in considerazione anche dell’emergenza in corso.
L’energia idroelettrica è quella più connaturale alla Valle d’Aosta, essa rischia, però, a causa dei cambiamenti climatici e dei conseguenti periodi di siccità, di non poter assicurare nel tempo un apporto costante al sistema elettrico. Anche per questo motivo, lo shock energetico che tanto ci preoccupa attualmente dovrebbe essere affrontato con una prospettiva medio-lunga. In questa ottica, a mio avviso, andrebbero superati i limiti ideologici che, nella Vallée, portarono all’esclusione aprioristica dell’utilizzo dei rifiuti a fine di produzione di energia termica ed elettrica. Quando ho letto che il termovalorizzatore di Bolzano, inceneritore di ultima generazione, costruito con una logica di integrazione nel paesaggio, in grado di soddisfare i più restrittivi parametri di protezione dell’ambiente, produce energia termica per 8mila unità abitative e copre il fabbisogno di energia elettrica di 20mila nuclei familiari ho realizzato quanto manchi, in Valle d’Aosta, una mente lungimirante in grado di adattare al nostro territorio gli studi ed i progetti già realizzati con pieno successo in una Regione autonoma dal territorio molto simile al nostro.
Di fronte alla tragicità del momento che stiamo vivendo, poter constatare che siamo in grado di affrontare attivamente i cambiamenti epocali in corso potrebbe essere motivo di speranza in un futuro migliore e sostenibile.