La passione per tutto ciò che era sport, dal calcio alla pallamano Da Plan Felinaz all’Aosta, ai libri di alpinismo, alle sue montagne
La terra del campetto di Plan Felinaz, il verde dell’erba dello Stadio Puchoz, il nero scivoloso del pavimento della Palestra Coni, l’arancio ruvido del Quartiere Dora, il grigiorossastro delle rocce della Becca di Nona e dell’Emilius, il giallo e l’arancione del suo primo pallone. Quanti colori nella vita di Osvaldo Cardellina, tutti impressi nella sua memoria prodigiosa, un caleidoscopio di emozioni, di ricordi abbinati alle divise da gioco, alla memoria di chi è con me e chi è contro di me, allo sport di squadra e alla sfida contro se stesso e la montagna. Quante diverse personalità in un solo individuo, spinto da passioni forti, molte vissute contemporaneamente, tutte amate con una precisione metodica incredibilmente rara e soprattutto mai abbandonate. Fino all’ultimo Osvaldo Cardellina ha studiato, scritto, ricercato: lettore infaticabile, poco pratico di computer eppure autore di migliaia di testi di alpinismo diffusi in tutto il mondo proprio grazie alle nuove tecnologie, trascorreva il pomeriggio alla Biblioteca regionale arrivando da Plan Felinaz in bicicletta, fermandosi al sole della panchina sotto la Tourneuve e poi calandosi nella lettura degli articoli della sua ultima missione, quella di un libro, anzi di più libri, dedicati al calcio e in particolare alla sua seconda pelle, la maglia dell’Aosta.
Un lavoro titanico praticamente concluso, al quale Osvaldo Cardellina continuava ad aggiungere qualcosa, in una sorta di processo evolutivo che prima o più si sarebbe dovuto arrestare con la pubblicazione del primo volume. Invece i libri sull’Aosta e sul calcio valdostano Osvaldo li vedrà dall’alto, speriamo da sopra a quelle due montagne che hanno fatto parte della sua vita, la Becca di Nona salita la prima volta il 3 settembre del 1964, a quindici anni, e il Mont Emilius, al quale nel 1978 dedicò la guida.
Personaggio senza volerlo essere Osvaldo Cardellina lo era diventato proprio per le sue passioni, nate con lui, venuto al mondo il 26 giugno 1949 nella casa di papà Giusto, carabiniere ad Aosta, originario di Pocapaglia vicino a Bra, e di mamma Anna Di Bella, siciliana di Licata. Casa che si trovava davanti allo stadio comunale e dal cui balcone il piccolo Osvaldo seguiva già i movimenti del pallone. Poi nel 1955 Giusto Cardellina costruì a Plan Felinaz, allora pochissime case e tanto verde, dove il pallone volava spesso in Dora e il suo Atala in cuoio giallo e arancio ricevuto in dono a Natale del 1957 veniva preservato come una sacra reliquia. Le porte erano due alberi da una parte e due sassi dall’altra, non c’erano sole, pioggia o neve che fermassero quei ragazzi tanto che, come ricordava Osvaldo Cardellina, negli anni Sessanta la formazione dell’Aosta Berretti contava dieci giocatori su undici originari di Plan Felinaz. Il portiere era appunto lui, maglia verde, secco come pochi, tutto nervi, scattante ed agile, con quel viso che ricordava Jean Paul Belmondo.
Lo sport lo avvinghia, ama tutto, dagli sport individuali a quelli di squadra. Il passaggio verso l’Isef è quindi naturale e nel 1973 si diploma a Torino, dopo avere lasciato il calcio agonistico nel 1971 dopo una frattura al polso, nello stesso anno in cui sposa Maria Ada Aprile. Senza patente Osvaldo è un camminatore instancabile, da Plan Felinaz raggiunge Aosta più volte al giorno, con le prime supplenze ai Geometri, l’impegno come manager e paroliere nel gruppo rock «Paradiso a basso prezzo», il contratto di allenatore delle giovanili dell’Aosta e nel 1976, quando è alla media Saint Roch come insegnante, la «folgorazione» per la pallamano, il nuovo sport che lui inserisce subito nei programma scolastici vista la facilità di apprendimento per i ragazzi. Quindi oltre alla famiglia - ha quattro figli, Christian, Alessandro e i gemelli Elisa e Roy - Osvaldo Cardellina in contemporanea è insegnante di ginnastica, allenatore dell’Aosta, giocatore di pallamano, preparatore atletico dello slittino, alpinista di valore e manager musicale. Il tutto andando a piedi e «scroccando» qualche passaggio in auto.
Senza dimenticare quanto ama parlare, discutere, raccontare di sport e di alpinismo, lui che leggero come è sulle pietraie «vola» mentre gli altri fanno fatica. Sono anni diversi, la gente ha il tempo di fermarsi, di condividere e Osvaldo Cardellina lo ascolteresti per ore, sono racconti uguali a quei programmi sportivi televisivi che oggi hanno fortunatamente un grande successo, che raccontano di storie bellissime, di vite indirizzate dal talento e dal caso. La sua memoria eccezionale lo porta a fotografare mentalmente ogni cosa, lui potrebbe descrivere una partita di venti o trent’anni fa come se tu fossi li, percepissi le grida della gente, ricordassi gli spalti della Coni di via Guedoz con cinquecento persone appese a sostenere le sue ragazze della pallamano, con lui in panchina con gli stivaletti, un completo marrone anni Settanta e la camicia con le punte fuori come in un film americano di Clint Eastwood.
Nessuno è stato come lui, nessuno ha amato lo sport e in particolare lo sport in Valle d’Aosta come lui e quando per motivi diversi la sua strada si è divisa da quella del calcio e della pallamano questi sport sono scomparsi dal panorama regionale. Epiche rimangono tante sue imprese, che molti giovani di allora, ormai cinquantenni e sessantenni oggi, rammentano con fierezza e nostalgia: l’exploit nazionale della sua magnifica Aosta Beretti del 1979, la promozione del 1991 dell’Aosta in C2, quelle nella pallamano dalla maschile Ottoz alla femminile Casetta Hotels tra gli anni Settanta e Ottanta, i risultati della media Saint Roch ai Giochi della Gioventù sempre di pallamano, quelli straordinari dello slittino valdostano a livello mondiale con lui preparatore atletico, le sue tantissime - oltre duemiladuecento - ascensioni alpinistiche, alcune di grande importanza e difficoltà, l’impegno come autore nel 1977 con il primo libro sugli itinerari sull’escursionismo in Valle d’Aosta, con la vendita record superiore alle cinquantamila copie, poi gli scritti di alpinismo diffusi su internet con migliaia di visite.
Ricordare Osvaldo Cardellina significa ricordare l’ultimo mezzo secolo della storia valdostana, non solo sportiva. E mercoledì sul sagrato della chiesa di Saint Etienne per l’ultimo saluto, come in quei film che lui amava c’erano tutti, tutto il suo mondo: da un lato compatti gli slittinisti con i capelli bianchi, dall’altro le sue ragazze adorate della pallamano, dall’altro ancora i giovani calciatori di allora che guardavano con ammirazione il “mister”, poi i colleghi insegnanti e allenatori, i suoi collaboratori di tante avventure, i compagni delle cordate in montagna, gli amici delle palestre e dei campi di calcio. Così quando il feretro è uscito ed è iniziato un applauso nessuno si è stupito, perché nello sport - e Osvaldo era un grande uomo di sport - il riconoscimento più sincero è l’applauso.