«Grazie alla solidarietà dei valdostani, finita la guerra torneremo in Ucraina»
Hanno un solo desiderio: ritornare in Ucraina appena finirà la guerra. Non ci sono alternative per Anzhelica Korelska, 28 anni, e sua sorella Alona, 30 anni, che stringe in braccio la figlia Amaliia di appena 18 mesi. Prese in carico dalla Caritas valdostana e sistemate da don Aldo Armellin in un appartamento della parrocchia di Sant'Orso ad Aosta da domenica 6 marzo, in questi giorni assaporano la tranquillità di una vita "normale", dopo che con tanta paura e altrettanta tristezza hanno lasciato la loro casa di Kiev con le prime bombe che colpivano la periferia. Al sicuro di Aosta dunque, ma con il pensiero fisso al marito Bohdan Ritchenko, 32 anni, rimasto a Kiev per portare aiuti alla popolazione in fuga, senza più casa né cibo né speranze. «Non avremmo mai immaginato di vivere una guerra. - afferma Alona le cui parole sono tradotte dall’interprete Mariia Drebit, 31 anni, ucraina pure lei e da 3 anni in Valle d'Aosta - Piuttosto si pensava ad un veloce accordo con Putin prima di arrivare all'orrore delle bombe, della distruzione, dei morti. E pensare che con i russi siamo fratelli dato che ci sono tante famiglie miste o che hanno parenti sia in Russia che in Ucraina. Come potevamo pensare che ci saremmo scontrati a cannonate? Non ho parole, perché noi ucraini vogliamo la pace e vivere sereni». Non c'è odio nelle parole di Alona, quasi rassegnazione, ma anche voglia di rinascita perché «Molte città, oltre a Kiev, sono distrutte ma, quando questa guerra sarà finita, noi le ricostruiremo più belle di prima perché gli ucraini amano la loro nazione, il loro presidente Volodymyr Zelenskj, quindi ci rimboccheremo le maniche e ricostruiremo quello che oggi è stato distrutto». Un futuro tutto in salita, però, e questo Alona e la sorella Anzhelika, che studia per diventare avvocato, lo sanno, ma nonostante i sacrifici che dovranno affrontare non progettano di restare in Italia perché «Le nostre radici sono in Ucraina, là c’è la nostra vita, la nostra gente, mia sorella che deve finire gli studi, il mio lavoro di impiegata in una finanziaria, quindi perché buttare via tutto?». Nella tragedia che stanno vivendo c’è però tanta riconoscenza per gli aiuti ricevuti, per le premure e le attenzioni di don Aldo Armellin e per il buon cuore dei valdostani «Che vogliamo ringraziare tanto in quanto ci hanno accolto come delle figlie senza guardare se eravamo italiani o stranieri e questo non lo dimenticheremo mai».