Le conseguenze psicologiche di una guerra alle porte “La solidarietà può aiutarci ad elaborare le paure”
Da una decina di giorni è iniziata l’invasione armata dell’Ucraina da parte dell’esercito russo agli ordini del dittatore Vladimir Putin. Una sanguinaria aggressione che, oltre ad avere acceso nuove fonti di preoccupazione in tutto il mondo per le conseguenze che avrà sia in termini di geopolitica che economici, ha svelato quanto il nostro sistema internazionale globalizzato sia fragile e pronto ad ambigui compromessi. Le continue immagini di donne disperate con i loro bambini - e in molti casi anche con gli animali domestici, a volte portati sullo zaino - che stanno fuggendo dal loro Paese, hanno sconvolto molti spettatori, e in tante nazioni occidentali la solidarietà della gente è scattata spontaneamente. Anche diversi valdostani l’hanno dimostrata consegnando prontamente beni di prima necessità che verranno portati in aiuto a quella popolazione. Rimanendo però in tema di ripercussioni che già ora riguardano tutti, anche a livello esistenziale, adolescenti e bambini compresi, sono interessanti le riflessioni di due psicologhe valdostane, entrambe volontarie dell’associazione Psicologi per i Popoli Emergenza Vda, la presidente Elvira Venturella e Germaine Catherine Roulet.
«L’eco della guerra risuona in ognuno di noi, nella nostra storia personale, nella nostra professione di psicologi, nell’essere cittadini italiani ed europei, e proprio come italiani, entrati di fatto nel conflitto, direttamente o indirettamente, non solo in soccorso ai profughi ma anche nell’invio delle armi all’Ucraina, nell’accettazione delle previste difficoltà sul piano energetico e delle materie prime. - dicono Elvira Venturella e Germaine Catherine Roulet - Volenti o nolenti siamo risucchiati nella guerra, siamo tutti attoniti di fronte a una escalation così deflagrante e probabilmente le conseguenze a livello psichico saranno più difficili da elaborare di quelle del Covid. Quando si parlava della guerra contro la malattia, non si immaginava certo di dover vivere e confrontarci con una guerra vera a tutti gli effetti. Gli scontri armati, specialmente quelli vicini geograficamente e ad alta mortalità, minano il nostro equilibrio psichico, garantito dalla costanza delle relazioni e degli affetti, sconvolgendo così il sistema organizzato, dove risiedono le nostre rappresentazioni anticipate di come vanno le cose, di come sono io rispetto alle cose e di come esse evolveranno a breve, medio e lungo termine».
«Oggi siamo fin troppo bombardati da vere o false notizie, siamo come catapultati nel teatro di guerra, in tempo reale ma senza “armature di protezione”, perché è fortissimo il bisogno di restare aggiornati sull’evolvere della situazione. - proseguono Elvira Venturella e Germaine Catherine Roulet - L’eccessiva esposizione mediatica rischia di produrre un isolamento ansiogeno e destabilizzante. Non c’è il tempo per elaborare l’urto della drammaticità delle notizie e nemmeno per un confronto con amici e conoscenti. E’ importante invece riconoscere negli altri le proprie ansie, paure e preoccupazioni, per poter meglio elaborare e condividere vissuti emotivi e prospettive future. Ritrovarsi, stringersi insieme per sperimentare la vicinanza e la solidarietà, per non sentirsi soli di fronte ad eventi inimmaginabili, imprevedibili e catastrofici. Diventa fondamentale parlarne senza esserne ossessionati o paralizzati. Ricordarsi che la vita è qui ed ora, quindi non trascurando gli affetti oltre che le attività ludico, ricreative e sportive. Per contrastare il senso di impotenza e l’angoscia che ne deriva, può essere utile contribuire, come si può, alla raccolta di beni di prima necessità da inviare in Ucraina o rendersi disponibili a dare il proprio sostegno nel caso in cui dovessimo accogliere dei rifugiati. Agire contro la guerra attraverso la solidarietà, la partecipazione emotiva e l’identificazione con le vittime alimenta la pulsione di vita, ovvero il desiderio di proteggere se stessi e gli altri, i propri beni, il proprio mondo relazionale».
«Se è complicato per gli adulti confrontarsi con la realtà di una guerra alle nostre porte, possiamo immaginare come questa situazione destabilizzi i più giovani. - continuano Elvira Venturella e Germaine Catherine Roulet - Gli adolescenti, già logorati e sfiniti dalla pandemia, faticano sempre più a proiettarsi nel futuro, mantenendo vivi sogni e progetti. Quel delicato processo evolutivo che caratterizza questa età, è stato ostacolato, impedito o negato dalle restrizioni e dalle disposizioni conseguenti all’emergenza Covid. Ora, la guerra in Ucraina rischia di risvegliare e potenziare i vissuti ansioso-depressivi che hanno colpito gli adolescenti, gettandoli ulteriormente in una dimensione di vita dove appare difficile prevedere e progettare. Il sentimento di imprevedibilità e di impotenza può essere contrastato cercando di trovare nell’evento negativo una fonte di apprendimento, accettando anche che molte vicende sono fuori dal nostro controllo. I ragazzi hanno bisogno di ritrovarsi nel gruppo dei pari per confrontarsi e supportarsi a vicenda; allo stesso tempo devono poter usufruire di un “contenitore esterno adulto” che può essere rappresentato dai referenti educativi (famiglia e scuola), capaci di riconoscere il disagio, accoglierlo, dando voce a vissuti emotivi scomodi. Il confronto può favorire la ricerca, seppur stoica, di un senso in ciò che accade, ripercorrendo e spiegando le tappe storiche, almeno in parte, artefici dei destini attuali». «Per quanto riguarda i bambini, è ormai assurdo pensare di difenderli dal vivere la vita per quello che è. - concludono le psicologhe - Tanto meno si riesce a tenerli lontani dalle notizie. L’assenza di informazioni, soprattutto se richieste, è più dannosa di spiegazioni, semplici e adeguate all’età, su quanto sta accadendo. Il silenzio degli adulti lascia i più piccoli da soli e disarmati ad affrontare l’angoscia dell’ignoto, sospetto e pericoloso, perché non se ne parla. E’ fondamentale rispondere alle loro domande senza andare oltre la loro curiosità, per non caricare i bambini delle nostre ansie e paure. Questi sono abituati ad ascoltare racconti in cui possono succedere cose brutte, si può dunque trasformare una realtà terrificante in una storia che renda il contenuto più accettabile. A tal proposito vorremmo ricordare una filastrocca di Gianni Rodari che potremmo recitare insieme ai nostri bambini: ci sono cose da fare ogni giorno (…) ci sono cose da fare di notte (…) ci sono cose da non fare mai, né di giorno né di notte, né per mare né per terra per esempio, la guerra».