Una storia un po’ da riscrivere. 4 “Il venerando sacrario della scienza”
Perché andare in montagna e non limitarsi ad accogliere i viaggiatori e affidarli nelle mani delle guide?
Non va dimenticato che nell’Ottocento i preti erano spesso gli unici intellettuali nei paesi di montagna e i monti erano diventati il terreno di un pesante scontro scientifico-religioso che aveva come posta in gioco l’attendibilità delle Sacre Scritture.
Come era accaduto nel Seicento, ai tempi di Galileo, con gli sviluppi dell’astronomia, nel corso del Settecento lo studio dei fossili, dell’erosione e della stratificazione delle rocce, e poi, nell’Ottocento, le ricerche darwiniane sulla selezione naturale e le origine della specie avevano rimesso in discussione la narrazione biblica della storia del mondo. La terra sembrava molto più vecchia di quanto raccontava l’Antico Testamento, aveva dimostrato Buffon nella sua monumentale Histoire naturelle. Quaranta giorni di pioggia non bastano ad allagare il mondo, avevano obiettato diversi scienziati mettendo in dubbio l’attendibilità del diluvio universale. I fossili mostravano specie estinte aprendo la strada all’idea che il mondo, gli animali e l’uomo stesso non fossero stati creati così come sono adesso. La “storia naturale” stava mettendo in discussione la Bibbia e le montagne in particolare erano diventate fra Sette e Ottocento gli “archivi della terra”, il “laboratorio della natura”, dove gli studiosi potevano cercare “documenti” sulla base dei quali riscrivere la “storia della natura”.
L’alpinismo non nacque dall’amore romantico per la natura selvaggia, né tantomeno come attività sportiva, ma dallo studio della natura. Il “padre dell’alpinismo”, Horace-Bénédicte de Saussure, era un fondamentalista religioso, calvinista, ossessionato dalla ricerca delle prove geologiche del diluvio universale e quella fu la molla della conquista del Monte Bianco.
Mentre in Valle d’Aosta il canonico Georges Carrel iniziava ad accogliere e accompagnare i viaggiatori in montagna, sull’altro versante del Rosa il parroco di Alagna, don Giovanni Gnifetti, iniziava la sua esplorazione della montagna, culminata con la prima salita, nel 1842, della cima del Signalkuppe, oggi nota come punta Gnifetti (4.559 metri). E giustificava le sue fatiche affermando di salire lassù per “contemplare più da vicino la magnificenza delle opere del sommo creatore”.
Il suo compagno di ascensioni, don Pietro Calderini, direttore della scuola tecnica di Varallo, così spiegava, nel 1871, la sua passione per la montagna: “I monti voglionsi pur riguardare come venerando sacrario della scienza … L’alpinista intelligente brama aumentare coi suoi studi il patrimonio scientifico. Non ascende le ardue cime dei monti solo per deliziare gli sguardi di un vasto o magnifico orizzonte; non si affatica per sentieri rocciosi e per aspri dirupi nell’unico scopo di rafforzarsi le membra o di rinfrancare la salute. No, o signori, l’alpinista che ha mente e cuore imprende faticosi viaggi per allargare del suo sapere i confini; per trasmettere nel dominio della scienza il frutto delle sue osservazioni”.
E l’abate Farinetti, spingendo i parroci della Valsesia ad andare in montagna, scriveva che si va perché accanto al Vangelo “vi è un altro libro, soprattutto nei paesi alpini, meravigliosamente bello e vario, quello della natura, d’onde egli può trarre molteplici e potenti argomenti per l’edificazione di se stesso e per l’istruzione dei fedeli alle sue cure affidati”.
Press’a poco quanto sosteneva, con la veemenza che gli era caratteristica, l’abbé Gorret al Congresso del CAI a Varallo, il 30 agosto 1869: si va in montagna poiché “le but de notre Club n’est pas uniquement celui de parcourrir les montagnes, de traverser les glaciers en tout sens et de faire l’ascension des pics […] le véritable but du club c’est l’étude, c’est la science sous ses divers aspects”.
La ricerca scientifica poteva essere la motivazione che spingeva ad arrampicare per una vita intera, come dimostra il canonico Pierre Chanoux. Stabilitosi al Piccolo San Bernardo, dove avrebbe creato il celebre giardino botanico che ancora oggi porta il suo nome (Chanousia), aveva incominciato ad arrampicare lavorando a una Histoire de la terre, rimasta inedita, frutto, assicura l’abbé Henry, di “quaranta estati di corse sui monti e di quaranta inverni di studi e di meditazioni”.
Ciò che accomuna i preti alpinisti dell’Ottocento è dunque l’interesse per la scienza. Tutti appassionati di scienze naturali, specialmente di botanica, di geologia e di meteorologia, discipline che richiedevano collaborazione e coordinamento fra gli studiosi (furono i parroci a creare la prima rete alpina di osservatori meteorologici), ma soprattutto discipline sotto attacco.
Quale scienza inseguivano i preti alpinisti? Una scienza che potesse dimostrare che la Bibbia aveva ragione, che potesse riconciliare metodo scientifico e fede religiosa, che trovasse nella natura la rivelazione manifesta del divino. Una “scienza cristiana” i cui punti di riferimento erano padre Francesco Denza, il fondatore della meteorologia italiana, artefice del progetto di creazione di una rete di osservatori meteorologici in tutta la zona alpina, e Antonio Stoppani, sacerdote e geologo, alpinista per passione e per necessità (“la geologia, per nove decimi, si fa con le gambe”, amava spesso ripetere), fondatore della sezione milanese del CAI e autore de’ Il bel paese, il famoso libro che ha fatto conoscere l’Italia agli italiani.
Una scienza che fosse una guida sicura nella lettura del libro dell’universo. “Enseigner à la jeunesse les liens qui unissent la religion et la science, expliquer l’une par l’autre”, affermava ad Aosta il canonico Carrel, il 29 marzo 1848, in occasione della riapertura dei corsi del Collège Saint-Bénin. Perché “la Bible est une Encyclopédie, l’Evangile est un code accompli de civilisation[…] qu’ils soient donc votre livre de prédilection”.
Esattamente quanto diceva a Torino san Leonardo Murialdo, alpinista, fondatore della congregazione di San Giuseppe, rettore del Collegio degli Artigianelli, il primo a portare regolarmente i ragazzi in montagna: “La natura è un libro di religione e di teologia, tutto parla di Dio […]. La natura è il Teatro di Dio. Lo spettacolo dei cieli, della terra, dei mari cantano la sua gloria”.
Ma le cose non andarono come previsto.
(Continua)