Cva, il grido d’allarme: «Idroelettrico italiano alla mercé di operatori esteri»

Cva, il grido d’allarme: «Idroelettrico italiano alla mercé di operatori esteri»
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È un «no» netto quello di Cva, la Compagnia valdostana delle acque, azienda leader nella produzione di energia idroelettrica, al nuovo disegno di legge «Concorrenza» sulle gare per le concessioni di grande derivazione idroelettrica, attualmente in discussione al Senato.

«Bloccati

per 10 anni»

L'amministratore delegato dell'azienda valdostana, Giuseppe Argirò, ascoltato dalla commissione Industria, Commercio, Turismo del Senato, ha evidenziato «I gravi effetti distorsivi» del testo, si legge in una nota, chiedendone «lo stralcio integrale». L’accelerazione impressa dal disegno di legge Concorrenza sulle gare per le concessioni delle grandi derivazioni idroelettriche «comporta un blocco sostanziale (7-10 anni) degli investimenti strategici nel settore idroelettrico italiane» ed «espone l’idroelettrico italiano, asset strategico per la transizione ecologica, alla mercé di operatori esteri, senza alcun bilanciamento né opportunità per gli operatori nazionali, in quanto gli altri Paesi europei non metteranno a gara le loro concessioni».

Per Giuseppe Argirò è necessario piuttosto un «rilancio importante del comparto idroelettrico attraverso un piano su larga scala di investimenti», utili anche per «contrastare le conseguenze gravi che ha determinato lo shock energetico per le famiglie e il sistema produttivo nazionale», a seguito dell'aumento del prezzo del gas. «Investimenti che - prosegue la nota - consentirebbero riequilibrando l'attuale mix di produzione energetica sbilanciata sul termoelettrico e sul gas in particolare di ridurre il costo dell'energia». A ciò si aggiungono gli obiettivi previsti dal Green Deal europeo entro il 2030, che saranno raggiungibili «solo con il fondamentale mantenimento e il potenziamento della capacità esistente, - scrive la Cva - attraverso interventi di repowering e ammodernamento degli impianti idroelettrici ma non solo».

Per Giuseppe Argirò «è necessario ripensare l'attuale quadro normativo nazionale» sulle grandi derivazioni idroelettriche, ridisegnando «una disciplina nazionale che, pur preservando competenze e ruolo degli enti locali, sia in grado di posizionare il settore idroelettrico nella giusta dimensione strategica a supporto del raggiungimento degli obiettivi del Green Deal, oltre che in termini di sicurezza e adeguatezza del sistema elettrico, nonché di indipendenza energetica». Partendo dalla «attuale assenza di un quadro di regole uniformi a livello comunitario», la definizione della nuova norma dovrebbe essere subordinata «ad una preventiva armonizzazione del contesto regolatorio» tra i vari territori: «Solo qualora si ottenesse una effettiva contendibilità delle concessioni a livello europeo - prosegue - sarebbe sensato passare per la via delle procedure competitive», assicurandosi «che questo avvenga dando adeguato spazio alla valutazione dei progetti di sviluppo e delle qualificazioni degli operatori, senza limitarsi a guardare ai canoni ottenibili».

Risulta fondamentale anche diluire le procedure «su un arco temporale congruo», per «permettere agli operatori di contendersi le concessioni operando ad armi pari». Necessario dunque, «consentire fin da subito agli operatori, attraverso meccanismi di estensione delle durate o riassegnazione delle concessioni, di proporre piani di investimento straordinari stimati in oltre 10 miliardi di euro», funzionali «al recupero di efficienza e di producibilità delle centrali idroelettriche esistenti», con «ricadute positive sui territori in termini ambientali, economici ed occupazionali».

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