Una storia un po’ da riscrivere. 2 “Inglesi”, scienziati, guide e sacerdoti alle origini dell’alpinismo valdostano

Una storia un po’ da riscrivere. 2 “Inglesi”, scienziati, guide e sacerdoti alle origini dell’alpinismo valdostano
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Una storia un po’ da riscrivere. 2 “Inglesi”, scienziati, guide e sacerdoti alle origini dell’alpinismo valdostano

Sì, anche in Valle d’Aosta, come su gran parte dell’arco alpino, i preti furono tra i primi alpinisti. Ma andiamo con ordine.

L’alpinismo valdostano non nacque sul Monte Bianco. Quella celebre epopea, oggi ben conosciuta, che vide protagonisti alla fine del Settecento lo scienziato ginevrino Horace-Bénédicte de Saussure, il medico di Chamonix Michel Paccard, il cacciatore e cercatore di cristalli Jacques Balmat, il giornalista Marc-Théodore Bourrit, si svolse dall’altra parte della montagna. Solo marginalmente l’impresa sfiorò Courmayeur, attraverso la figura di Jean-Laurent Jordaney, Patience, che la tradizione ci consegna come “prima guida valdostana”, la guida di Saussure sul Monte Crammont e sul ghiacciaio del Miage.

L’alpinismo in Valle d’Aosta nacque intorno al Monte Rosa ed ebbe come protagonisti genti di Gressoney. Ad alimentare l’interesse per il Rosa, oltre al sogno delle miniere d’oro, aveva concorso l'antica leggenda della "Valle Perduta", una mitica Eldorado un tempo ricca di campi e di pascoli e poi rimasta prigioniera tra i ghiacci, abbandonata da uomini e animali. Nell'agosto del 1778, una spedizione composta da sette giovani gressonari era partita alla sua ricerca. Giunsero fino alla “Roccia della scoperta”, un isolotto roccioso presso il colle del Lys, a 4177 m., ma dell'impresa si era interessata l'Accademia delle Scienze di Torino e la notizia della spedizione si era diffusa in molte parti d'Europa.

Negli anni successivi si erano aggirati intorno al massiccio del Rosa il conte torinese Morozzo della Rocca, alla ricerca di miniere, e Horace-Bénédicte de Saussure che cercava invece nella conformazione delle montagne le testimonianze scientifiche del diluvio universale. Le prime salite in vetta sono del 1819-20. La vicenda, sulla quale continuano a circolare dati piuttosto imprecisi (compresi i miei, ahimè, in pubblicazioni precedenti), è stata rimessa a punto di recente da Pietro Crivellaro, attraverso l’accurata edizione dei Cinque viaggi attraverso il Monte Rosa di Joseph Zumstein.

Crivellaro ci restituisce la cronologia precisa delle prime ascensioni. La Piramide Vincent venne scalata la prima volta il 5 agosto 1819 da Jean-Nicolas Vincent, mercante walser di Gressoney, proprietario di una miniera d’oro nel vallone di Indren, accompagnato dal cacciatore di camosci Jacques Castel e da due minatori di Indren. L’ascensione venne ripetuta il 10 agosto dal canonico Bernfaller dell’Ospizio del Gran San Bernardo, in quegli anni vicario a Gressoney La Trinité. Il 12 agosto la cima venne nuovamente salita da Vincent insieme a Joseph Zumstein, mercante di stoffe, ma anche scienziato, membro corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Torino, futuro “ispettore delle foreste” della Valsesia e pioniere della protezione dello stambecco. Da lassù, dove hanno portato barometro e termometro per misurare l’altitudine (stimata in 4.521 metri), si accorgono che vi sono, oltre il colle Lys delle cime sicuramente più alte, forse addirittura più alte del Monte Bianco, come riportano con grande rumore alcuni giornali del tempo.

Così venne progettata la spedizione dell’anno successivo, sostenuta dall’Accademia delle Scienze di Torino, interessata al grande progetto scientifico internazionale di misurazione dell’arco di meridiano terrestre (per eseguire le triangolazioni trigonometriche tra Chambéry e Torino occorrevano punti di segnalazione sulla vetta di montagne molto visibili, come lo Chaberton, il Rocciamelone e appunto il Monte Rosa). Così il 25 luglio del 1820 Joseph Zumstein, Jean-Nicolas Vincent, con il fratello minore Joseph-Antoine e altri tredici portatori, tra cui il vecchio Joseph Beck, che era stato nel 1778 alla “Roccia della Scoperta”, partirono per aggirare la Piramide Vincent, in direzione del colle del Lys. Una violenta tempesta, la necessità di rientrare la domenica per non saltare la Messa e un avventuroso bivacco in un crepaccio, allungarono i tempi della salita, ma alla fine, il 1 agosto 1820, la spedizione raggiunse i 4.561 metri di quella che oggi è conosciuta col nome punta Zumstein. Vi piantarono una grande croce in ferro che doveva servire per i rilevamenti trigonometrici, ma anche marcare una conquista.

Nei decenni successivi, sui monti valdostani, incontriamo sostanzialmente tre generi di personaggi: gli inglesi, le guide e i preti.

Gli “inglesi”, universalmente considerati gli inventori dell’alpinismo (come di quasi tutti gli sport), li conosciamo piuttosto bene. Ricchi, colti, mossi prevalentemente da interessi scientifici (anche se qualcuno già incominciava a scalare solo alla ricerca di un record), talvolta un poco arroganti, amanti della natura, ma in genere assai meno dei suoi abitanti. Arrivavano in estate. Generalmente si annunciavano al canonico Carrel che provvedeva alla loro sistemazione presso le parrocchie di montagna (non esistevano a quei tempi alberghi decenti). Giunsero primi su molte cime, senza combattere, almeno fino alla gran “battaglia del Cervino”, nel 1865. Solo dopo la nascita del CAI incominciarono a trovare concorrenza.

Le “guide” non assomigliavano per nulla a quelle di oggi. Erano servi, portatori di carichi e intagliatori di gradini sul ghiaccio. Reclutate generalmente tra i bracconieri e i cercatori di cristalli, non capivano bene perché questi “gran signori di città” dovessero rischiare la vita per salire su montagne inutili, ma quei soldi servivano tanto nella disperata miseria della montagna ottocentesca. Alcuni di loro, ad esempio i Carrel e i Maquignaz di Valtournenche o le guide di Courmayeur che fondarono la prima “Società delle guide” italiana, incominciarono però a intravedere un mestiere nuovo che poteva cambiare la realtà economica delle loro famiglie e delle loro vallate. E qualcuno incominciò prendere l’iniziativa, come le guide di Courmayeur che iniziarono a esplorare una via al Bianco dal col du Midi (via completata il 13 agosto 1863) o Jean-Joseph Maquignaz, fortissima guida di Valtournenche, che il 13 settembre 1867 partì con una spedizione tutta sua, coi fratelli, Jean-Pierre e Victor, per la quarta ascensione assoluta alla cima del Cervino. Una cordata entrata negli annali della storia dell’alpinismo non solo per l’apertura di una nuova via che eliminava la pericolosa traversata detta della “galleria”, ma soprattutto perché nella cordata non c’era alcun viaggiatore pagante. La guida non era al servizio di un cliente, ma si proponeva come esploratore della montagna, capace di aprire nuove vie e quindi in futuro di dettare le sue regole.

E i preti? Per oggi il mio spazio è finito, bisogna pazientare ancora una settimana.

(continua)

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