Cascate di ghiaccio, i consigli dell’esperto

Cascate di ghiaccio, i consigli dell’esperto
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I 3 interventi di soccorso ravvicinati nel fine settimana di sabato 22 e domenica 23 gennaio per cordate incapaci di rientrare dalla Cold Couloir, la cascata di ghiaccio più lunga della Valeille con i suoi 600 metri di sviluppo, che diventano 1.300 se si prosegue su un percorso alpinistico fino alla punta, fanno riflettere su una disciplina di nicchia, che ha una sua storia, ma che spesso spiazza sia per le intrinseche difficoltà tecniche, sia per la scarsa attenzione riservata alla marcia di avvicinamento e al ritorno a valle.

Valutare i giusti tempi per la salita e la discesa e chiedere informazioni alle guide locali, per conoscere e capire quali sono i rischi del ghiaccio, sono sempre i consigli di base.

«Bisogna saper gestire il rischio globale di una salita su ghiaccio, che non è solo la scalata in sé» precisa Rudi Janin, guida alpina di Arnad e istruttore delle guide alpine. «Spesso i ghiacciatori si concentrano su quella e non pongono attenzione alla marcia di avvicinamento e al tragitto per rientrare a valle. Per arrivare all’attacco di una cascata spesso si corre il rischio di essere travolti da una valanga, se ha nevicato il giorno prima o se la cascata è su un versante al sole o se è in una gola in cui ci sono degli scarichi di neve. Quanto alla discesa, si effettua facendo le corde doppie sulla cascata stessa, con ancoraggi per salire e ancoraggi per scendere, o in altri casi, raggiunta la sommità della cascata, bisogna scendere attraverso i boschi dove d’estate ci sono facili sentieri, che d’inverno invece, con neve e ghiaccio, possono diventare non visibili. Se ha nevicato la traccia potrebbe non essere così evidente o potrebbe essere stata cancellata dal vento. Anche in caso di scarso innevamento potrebbero non trovarsi le tracce e spesso, se sorpresi dal buio, si può sbagliare sentiero e finire su balze rocciose, dalle quali non si riesce più a scendere». E’ quanto è successo nei 3 ultimi incidenti a Cogne, la cui cascata portava a 3.000 metri e da lì, per scendere con un buon allenamento, servono un paio d’ore però, con il buio e la stanchezza, tutto diventa più difficile, poiché senza neve non ci sono più tracce e i sentieri sono resi insidiosi per l’alternanza di terra e ghiaccio. Se il rientro va percorso a piedi, bisogna studiare il tragitto di discesa, perché la cascata talvolta porta molto in alta quota e si può perdere il sentiero, scivolare su un terreno impervio o essere sorpresi dal buio.

«Esiste poi un rischio tecnico. - prosegue Rudi Janin - Occorre conoscere le problematiche del ghiaccio, che ormai, con il riscaldamento globale, dopo la metà di febbraio può non tenere più, bisogna saper fare ancoraggi sul ghiaccio, anche se le cascate di Cogne sono già ben attrezzate e addomesticate dalle guide alpine locali con ancoraggi in acciaio fissi, ma ciò non vuol dire che non serva essere capaci di scendere in doppia, senza trovare gli ancoraggi in acciaio già presenti. E’ una disciplina più complicata di un’arrampicata su roccia in bassa quota. Bisogna essere in grado di far fronte a imprevisti, sapendo utilizzare, per esempio, i chiodi da ghiaccio, sapendo che ci si muove su un terreno invernale. Occorre sempre valutare la consistenza della cascata, poiché il ghiaccio può diventare fragile per sbalzi di temperatura, bisogna capire quando la cascata è in fin di vita. Negli ultimi anni si fa fatica a trovare le cascate già a dicembre, poiché stentano a formarsi; il periodo migliore è gennaio e fino alla metà di febbraio. Dopo bisogna valutare bene, dipende dalla quota, magari sopra i 2.200 metri e all’ombra è possibile anche a marzo. E’ un’attività in cui bisogna essere più attenti alle temperature. Occorrono esperienza e capacità di raccogliere informazioni anche presso le guide locali».

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