27 gennaio: oltre la liturgia

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Nel novembre 1992, Tzvetan Todorov, una delle grandi figure della cultura del nostro tempo, scomparso nel 2017, pronunciava un discorso in occasione del congresso organizzato dalla Fondazione Auschwitz di Bruxelles: «Histoire et mémoire des crimes et génocides nazis». Testo poi pubblicato con il titolo ormai notissimo «Gli abusi della memoria». Queste sue riflessioni, a loro volta, non sono estranee alle precedenti di Jacques Le Goff in «Histoire et mémoire» (1988) e soprattutto a Paul Ricoeur in «La mémoire, l’histoire, l’oubli» (2000).

In una fase in cui in Novecento incombe ancora con i suoi orrori, Ricoeur sostiene che non bisogna «cadere nella trappola del dovere di memoria» e Todorov esorcizza il culto della memoria sostenendo che bisogna guardare con prudente distacco «l’ossessione commemorativa» in particolare per la sua «frenesia di liturgie storiche».

Nel 2012, la semiologa italiana Valentina Pisanty pubblicava a sua volta «Abusi di memoria», un testo il cui titolo si ispira con tutta e dichiarata evidenza all’opera di Tzvetan Todorov, in cui ripercorre tre grandi questioni legate alla memoria della Shoah, ovvero la negazione, la banalizzazione e la sacralizzazione. Quest’opera fa diretto riferimento all’istituzione in Italia del Giorno della Memoria con la legge 211 del 20 luglio 2000. Partendo dalla considerazione che, come dice la stessa autrice, «il difetto sta nel manico, e cioè nella scelta di rubricare la rievocazione della Shoah sotto la categoria della memoria anziché della Storia», Valentina Pisanty sviluppa una riflessione di grande intensità che incita a guardare sempre oltre, oltre il rischio di una sclerosi, al ripetersi di momenti istituzionalizzati estranei alla necessità più autentica di un continuo interrogarsi sulla storia e sul presente. Come dice la stessa Pisanty: «L’irrigidimento dogmatico e la mitizzazione dell’evento alimentano proprio quelle tendenza banalizzanti e trivializzanti che pretendono di contrastare….l’aura di sacralità non tutela la Shoah contro le profanazioni più triviali…».

E’ quindi nostro compito affrontare la storia e la memoria della Shoah come una sfida continua umana e intellettuale.

Una sfida che attraversa le pagine intense e a tratti dolorose di Elena Loewenthal in «Contro il giorno della memoria». Un testo sofferto ma coraggioso che si colloca, come dice l’autrice: «in questo presente che celebra la memoria come un imperativo etico, come un’indiscutibile terapia di civiltà».

Elena Loewenthal ricorda a tutti noi che non sono certo gli ebrei che sentono il bisogno di ricordare. Per il mondo ebraico la Shoah «non è memoria» ma piuttosto una presenza costante, una «ombra greve» che induce piuttosto al silenzio della meditazione interiore. Auschwitz non ha nulla a che vedere con la storia ebraica. Per essere chiari, in quella storia, il mondo ebraico ci ha messo solo i morti e «la memoria della Shoah è di tutti gli altri fuorché degli ebrei». In Israele il giorno della memoria non si celebra il 27 gennaio ma in una data variabile tra marzo e aprile e, come forse molti sanno, in quel giorno - Yom haShoah - non vi sono particolari commemorazioni ma a mezzogiorno, in tutto il paese suonano a distesa tutte le sirene da Haifa a Eilat, un paese intero si ferma in un minuto di silenzio. La auto in mezzo alla strada. Tutti in piedi in tutto il paese uniti in un minuto di silenzio.

Lo scorso anno, a questa riflessione, ha aggiunto un nuovo elemento il libro di Alberto Cavaglion «Decontaminare le memorie». Un libro a tratti malinconico. Poco prima del lockdown, Cavaglion aveva visitato tre luoghi simbolo della memoria del Novecento: il campo di concentramento di Fossoli, Villa Emma a Nonantola e la torre della Ghirlandina a Modena. Ne è scaturita una riflessione da leggere imperativamente. Forse, il messaggio più interessante di queste pagine, è che «La letteratura è l’arma segreta che risveglia dal letargo gli smemorati, attenua il moralismo dei memoriosi, disarma i Guardiani della Memoria e con loro gli accigliati e non meno bellicosi avversari dei Guardiani». Pagine che incitano ad uno sguardo «obliquo» di cui si sente ormai una necessità imperativa.

Il Giorno della Memoria non può più prescindere dalla questioni sollevate dal dibattito intellettuale qui brevemente evocato. Si impone ormai una nuova attenzione da parte nostra, da parte di tutti, a costo di scelte coraggiose e in controtendenza rispetto al recente passato. Questa sfida può essere salutare, creativa. Mi tornano alla memoria le ultime parole con cui W.G. Sebald conclude il suo poderoso romanzo «Austerlitz»….«lungo il fossato della fortezza di Breendonk finii di leggere il quindicesimo capitolo di Heshel’s Kingdom, e poi presi la via del ritorno verso Mechelen, dove arrivai la calar della sera.»

Fermarsi a riflettere e rimettersi in cammino…!

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