La scrittura per guardare oltre il buio della malattia

La scrittura per guardare oltre il buio della malattia
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Le cicatrici delle nostre battaglie restano sul cuore per tutta la vita. Se però la ferita riusciamo a curarla con la scrittura, possiamo trasformare anche l’esperienza più brutta in pura felicità. E’ quello che è successo a Marina Massone, classe 1999, studentessa universitaria originaria di Aosta e attualmente residente a Camogli, in Liguria, che nel luglio 2018 ha scoperto di avere un tumore maligno del sangue e del sistema linfatico, a cui ha dato anche un nome: “Giuda”. Un male che ha portato la giovane valdostana a sottoporsi in sei mesi a quattro cicli di chemioterapia e a trenta giorni di isolamento per il trapianto del midollo osseo. Da questa esperienza Marina Massone ha tratto un libro edito per “Edizioni della Meridiana”, che si intitola appunto “Giuda”, e che da martedì 14 dicembre è disponibile in tutte le librerie. «Ho iniziato a scrivere per bisogno personale. - racconta - Questo libro non è altro che il diario che ho tenuto durante le cure, ed è stato il mio modo di restare a galla e non annegare tra le mille informazioni che ricevevo e le ripercussioni psicologiche dei trattamenti che stavo affrontando. Adesso che Giuda è diventato un libro spero che possa convincere qualcuno a diventare un donatore di midollo osseo. Ma “Giuda” non parla solo di malattia, ci sono anche tanti altri spunti, parla di vita in generale».

Cosa hai pensato quando hai scoperto di avere una malattia?

«Erano mesi che stavo male, avevo sempre la febbre, avevo perso peso e tutte le mie forze. Avere una diagnosi è stato anche una sorta di liberazione in questo senso perché significava potere cominciare a lottare contro qualcosa di concreto. Di questo aspetto il mio diario parla ampiamente».

Scrivere un diario ti ha dato forza?

«Assolutamente. Scrivere è stata la mia auto-terapia per mesi. Mi ha permesso di mantenere sempre l’obiettivo, ovvero la mia guarigione, davanti agli occhi e avere le idee chiare su tutto quello che succedeva intorno a me. Ogni giorno mi prendevo un attimo per sedermi e riflettere su come mi sentivo. Cercavo il lato positivo o il meno peggio in ogni giornata, mi permettevo di essere vulnerabile, ma mai di lasciarmi andare. Questo impegno quotidiano con la scrittura mi ha sicuramente aiutata a rimanere attiva e concentrata. La prospettiva di poterlo fare diventare un libro un giorno non ha fatto altro che aumentare la mia dedizione alla scrittura e darmi una ragione in più per guardare oltre la malattia, al futuro».

Pensi di essere un esempio per altre ragazze della tua età?

«Questo non spetta a me dirlo. Io mi sono sicuramente ritrovata ad affrontare un periodo difficile, ma le malattie non sono l’unico ostacolo nella vita. Sono soltanto uno dei tanti. Non ho fatto altro che cercare di superare il mio al meglio. Per fortuna quello che ho fatto è bastato. Chiaramente sarei contentissima se anche solo una persona trovasse in “Giuda” delle parole che possano in qualche modo essere di aiuto».

I tuoi amici e i tuoi famigliari cos’hanno fatto quando hanno scoperto la tua malattia? Come si sono comportati? Cos’hanno fatto poi?

«Senza la mia famiglia e i miei amici non ce l’avrei mai fatta. Dico sul serio. Ognuno di loro mi ha sostenuto su fronti diversi e hanno tutti contribuito alla mia guarigione. Mio fratello Federico mi ha addirittura donato il suo midollo osseo, quindi mi ha proprio salvato la vita. Sono immensamente grata a ognuno per essersi preso carico di un compito così delicato come accompagnare una persona malata in un percorso di cure».

Cosa ti ha colpito particolarmente di questa vicenda?

«La potenza della vita. Mi sono vista appassire piano piano, perdere le forze e i capelli, e poi, giorno dopo giorno, la vita è tornata ad abitarmi con una potenza tale da chiedersi come sia possibile sottovalutarne la bellezza nella quotidianità».

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