Incontri 3. Marie Claire Chaberge: vado a vivere in montagna
Incontri 3. Marie Claire Chaberge: vado a vivere in montagna
Una laurea in scienza della formazione, un’importante tesi di laurea su Chez Nous (edita in www.stoariavda.it), collaboratrice di progetti INTERREG, addetto stampa di svariate associazioni, giornalista de Il Corsivo e La Vallée Notizie, conduttrice radiofonica, ha lavorato per AREV, BREL, IVAT, Association Batailles de Reines. Unendo la passione per le batailles e la scrittura, ha realizzato, con gli editori Testolin e Musumeci, cinque edizioni di cronache dei concorsi regionali. Cresciuta a Gressan, docente di ruolo della scuola primaria, dal 2005 ha scelto di andare a vivere in montagna, nel paese della madre, a Doues, con il marito e i suoi due figli, oggi di 12 e 14 anni.
Perché questa scelta? Un tempo, per una maestra di città, una cattedra a Oyace era una condanna.
«È stata una scelta dettata dalle necessità (una casa di famiglia “agibile”, per quanto in montagna, è un lusso che pochi si possono permettere di questi tempi) e dalla voglia di mettersi alla prova: io e mio marito siamo cresciuti in un contesto fortemente agricolo e legato alle tradizioni, senza essere nostalgici. Abitare a Doues significa vivere alla giusta distanza dalle nostre famiglie, mettendo in pratica tutto quello che abbiamo imparato da piccoli, ossia gestire legna, prati, animali. Inoltre volevamo che i nostri figli crescessero in un contesto ancora “di villaggio”, con i suoi pro e contro: momenti di forte vita comunitaria e di condivisione genuini, carnevale, cottura del pane nei forni del villaggio, vita agricola, ma anche situazioni che fanno emergere la chiusura di certe mentalità. La cattedra a Oyace è arrivata di recente, ma la vivo come una benedizione e non di certo come una condanna. Mi piace quest’idea di vivere e lavorare al di sopra dei mille metri. Scherzando dico sempre che “troppo ossigeno fa male”: forse sto diventando snob all’incontrario… La scuola primaria di Oyace è come una piccola famiglia, anche qui con i suoi vantaggi e svantaggi. Bisogna essere capaci di affrontare il quotidiano (soprattutto le dinamiche sociali) con un’elevata dose di ironia e di buon senso».
Cosa vuol dire oggi lavorare e vivere in montagna? Tutto l’anno, con due ragazzi alle soglie dell’adolescenza?
«Sostanzialmente significa non aver paura di fare il tragitto casa-città anche tre volte al giorno in certi periodi e in tutte le condizioni: impari a guidare sulla neve, nella “nuvola bassa”, a individuare i passaggi di mucche, trattori, cervi, cinghiali, volpi, tassi e quant’altro! Vuol dire sapersi organizzare in maniera rigorosa, incastrando appuntamenti, impegni sportivi dei ragazzi e commissioni nella stessa fascia oraria: se si scende, lo si fa cercando di ottimizzare tempo e soprattutto benzina. E se dimentichiamo qualcosa… pazienza! Ne facciamo a meno. Certo, la nostra vita sociale è cambiata; è curioso il fatto che noi scendiamo a trovare i nostri parenti ed amici, ma raramente succede il contrario. Venire a trovarci a Doues sembra un’impresa epica! C’è questa visione distorta della lontananza: un paio di tornanti in più sembrano eterni. Eppure quando lavoravo “in piano” impiegavo lo stesso tempo di mia sorella per andare in ufficio (da Gressan), e questo senza essere un pilota di rally. Dall’altra parte, non cambierei con nient’altro la sensazione di libertà: vivere qui ci permette di dare sfogo alle nostre passioni, che in città o in centri abitati limitrofi ad Aosta non potremmo realizzare (musica, stalla, ecc.). Abbiamo tantissimo spazio, e per quanto ogni tanto la lotta contro il freddo mi demoralizzi un pochino, il solo guardarmi attorno mi fa dire che ho fatto la scelta giusta e mi ripaga della fatica. Per ora i figli adolescenti non sono un grande problema, sono poco esigenti e a tratti anche orgogliosi di vivere quassù, ma ne riparliamo fra qualche anno…».
Di cosa ha bisogno oggi la montagna (quella senza lo sci naturalmente) per sopravvivere? Può diventare autosufficiente senza i contributi pubblici?
«Per farlo, bisogna far sì che la gente cambi atteggiamento. I contributi pubblici sono un aiuto prezioso, ma non devono causare dipendenza. Le idee e le opportunità possono essere tante, ma ci sono ancora troppi ostacoli: il mio sogno nel cassetto, ad esempio, è quello di aprire una piccola fattoria didattica, che unirebbe la mia professione educativa con la mia passione per l’allevamento. Purtroppo le incombenze burocratiche mi spaventano troppo, spaventano tutti e in tutti i settori. Nella nostra zona viviamo un turismo “selettivo”, non certo di massa; ci sono villeggianti che vengono qui da più di quarant’anni… Il potenziale quindi c’è, ma bisogna articolarlo e renderlo fruibile in maniera originale, capillare; certo, è molto più comodo andare a lavorare ad Aosta facendo su e giù tutti i giorni piuttosto che inventarsi qualcosa di nuovo! Ci va tantissimo coraggio per rendere viva la montagna. Sinceramente non vedo progetti lungimiranti da parte della politica: c’era stato un progetto INTERREG molto interessante in questo senso anni fa, ma è naufragato miseramente. Peccato. Oltre al turismo bisognerebbe puntare al lavoro a distanza (connessione permettendo). Qualche segnale positivo c’è, ma purtroppo ce ne sono altrettanti negativi, come la progressiva chiusura di molti locali “storici”. Credo quindi che la montagna abbia bisogno di personalità, di individui illuminati per poter innescare una sorta di inversione demografica, un ripopolamento un po’ più costruttivo, funzionale (non solo seconde case per fuggire al caldo estivo)».
Per lei è un ritorno alla casa dei nonni, ma può diventare una scelta per forestieri che non hanno radici locali?
«Sicuramente sì, e proprio qui a Doues abbiamo tantissime famiglie che hanno deciso di “mettere radici”: ex villeggianti, ma anche aostani che hanno cambiato contesto di vita (ma non abitudini). Certo, non è tutto rose e fiori: anche se siamo nel 2021 la convivenza e l’adattamento al tessuto sociale (nonché ambientale!) non è sempre agevole. Io ad esempio credo fortemente nell’associazionismo, soprattutto nei piccoli paesi, ma è difficile integrarsi e portare contributi personali alla comunità quando ci sono abitudini incancrenite dal tempo. Dal punto di vista pratico non me la sento di dare consigli o incoraggiamenti: mi rendo conto di essere poco obiettiva e una fonte poco attendibile, in quanto io e mio marito siamo persone che si adattano a tutto, per anni abbiamo vissuto in una casa al limite della sicurezza (e del riscaldamento!), perciò non riusciamo a lamentarci troppo…».