Incontri 1. Pietro Crivellaro
Incontri 1. Pietro Crivellaro
Pietro Crivellaro, torinese di radici venete, è accademico Cai. Per 45 anni ha lavorato al Teatro Stabile di Torino, dove ha diretto il Centro Studi e la scuola attori. Per 30 anni ha scritto di montagna sul “domenicale” del Sole 24 Ore. Grazie a nuove ricerche d’archivio, di recente ha pubblicato La battaglia del Cervino, la vera storia della conquista (Laterza 2016, ora tradotto e premiato in Francia), Joseph Zumstein, Cinque viaggi alle vette del Monte Rosa (Zeisciu 2020) e infine Quintino Sella, lo statista con gli scarponi (Cai 2021).
Venerdì 10 dicembre, alle 17.30, al Seminario Maggiore,, in occasione della giornata internazionale della montagna, sarai ad Aosta a presentare il tuo libro su Quintino Sella e la nascita del Cai (e io a interrogarti). Perché questo libro? Dopo i lavori di Mila, Pastore, Audisio non sapevamo già tutto sulla nascita del Cai?
«No. Un no bello tondo, si sapeva ben poco. Grosso modo si sapeva quello che io avevo pubblicato nel 1998 nella lettera di Quintino Sella Una salita al Monviso, edita da Tararà di Verbania, la prima tappa della mia ricerca. Il testo vero e proprio era di 46 pagine, ma il libro ne contava 171, perché ho aggiunto molte note, commenti e tanti nuovi documenti. Ma a parte il Monviso, di Sella alpinista e della prima fase della storia del Cai si sapeva poco. Si erano sempre fatti i conti senza l’oste, come ora si può ben vedere sulle 350 pagine del nuovo libro. Sono saltati fuori una quindicina di discorsi, resoconti e taccuini di ascensioni e decine di lettera, oltre a molte immagini scovate alla Fondazione Sella di Biella. Ora sì che grazie ai suoi scritti abbiamo quasi un’autobiografia di Sella alpinista che scalò il Breithorn già nel 1854, nel 1863 fondò il Cai e poi ne guidò gli sviluppi con enorme passione per un ventennio buono, fino a quando morì nel 1884, a soli 57 anni».
Oggi sei indiscutibilmente il massimo studioso italiano delle origini dell’alpinismo. I tuoi lavori sulla conquista del Bianco, del Rosa, del Cervino e ora sulla nascita del CAI hanno spazzato stereotipi, tirato fuori documenti che non si conoscevano, chiuso questioni aperte da molto tempo. Cosa non sappiamo ancora? E su cosa stai lavorando?
«Le lodi fanno piacere, specie se pronunciate da una voce autorevole come la tua. Io temo però di distinguermi perché, dopo aver scalato un po’ su tutte le Alpi per conoscere montagne e pareti, per rendermi conto come San Tommaso, mettendo le mani e i piedi sulla pietra e sul ghiaccio, ora vado a frugare negli archivi per cercare le prove. Vado in cerca di documenti che riempiano i vuoti e smentiscano le leggende di comodo, le pompature di cui ama nutrirsi la storia dell’alpinismo. Il mio ultimo scritto è intitolato La leggenda di Balmat regna ancora a Chamonix, esce in una raccolta della Biblioteca del Cai. Dimostro che dobbiamo dir grazie alle guide di Chamonix se, dopo il monumento al dottor Paccard eretto finalmente nel bicentenario del 1986, ai piedi del Monte Bianco si prendono ancora per buone le balle raccontate da Balmat. Punto il dito sulla Compagnie des Guides che ancora divulga una versione fasulla e insostenibile della prima ascensione alla vetta del Bianco. Hanno appena festeggiato con enfasi patriottica i 200 anni di fondazione tacendo che fino al 1860 Chamonix non stava affatto in Francia. La gloriosa compagnia è nata sardo-piemontese e lo è rimasta per quasi 40 anni! Proprio gli anni in cui sorge l’alpinismo».
Nel tuo libro su Quintino Sella mi pare che emerga una certa simpatia non solo nei confronti dello “statista con gli scarponi”, ma di tutto un mondo alpinistico ottocentesco, serio, severo, colto. Nostalgia per un mondo scomparso? Cosa è accaduto al mondo alpinistico dopo Quintino Sella? L’alpinismo di oggi non ha più nulla a che vedere con quell’antico andar per monti?
«Dal mio libro viene fuori che Quintino Sella non è solo il fondatore del Cai, un uomo politico autorevole e un organizzatore instancabile, ma è anche un padre di famiglia che usa l’alpinismo per educare figli e nipoti. I suoi pochi giorni di vacanza li dedica a portare i ragazzini in montagna, giovani che poi diventeranno forti alpinisti, autori delle prime invernali sulle più alte vette valdostane. Bisogna leggere l’incantevole racconto I primi passi di Guido Rey in cui il nipote scrittore rievoca le prime gite sul Monte Rosa, compiute con i cugini al seguito dell’illustre zio. Poiché tu cerchi di trascinarmi sull’attualità, per quanto oggi la storia di Quintino Sella sembri antiquata, ti dirò che invece può diventare avvincente se la si guarda con gli occhi dei giovanissimi come Guido Rey, che cominciano a scoprire l’affascinante mistero delle grandi montagne. La storia della loro esplorazione è un patrimonio che non va seppellito nel dimenticatoio. Se ne vuoi la prova, sfoglia il nuovissimo manuale per ragazzi Vuoi conoscere l’alpinismo di Catherine Destivelle, che ho appena tradotto e adattato per l’editore Mulatero. La famosa campionessa, che oggi è la maggiore editrice di libri di montagna in Francia, insegna l’alpinismo ai giovanissimi con un libro illustratissimo, zeppo di vignette e di foto: le vignette illustrano i capitoli tecnici, mentre le foto di stampe, personaggi e grandi montagne raccontano la storia dalle origini alle ultime imprese himalayane. È un manuale double-face, da un lato spiega ogni aspetto tecnico, dall’altro ricostruisce la storia da cima a fondo, con Paccard e Balmat, Quintino Sella e il Monviso, la battaglia del Cervino, fino alla conquista degli ottomila, Bonatti e Messner e i campioni di oggi. Forse oggi la storia dell’alpinismo interessa meno di quando andavo a scalare io sulle orme di Solleder, Vinatzer, Cassin, Pierre Allain e anche degli americani al Dru e al Fou. La rivista della montagna e Alp sono estinte da tempo, adesso chiudono le edicole e le librerie. Tuttavia mi ostino a credere che i buoni libri restino indispensabili e l’alpinismo senza la sua storia non possa esistere».