Si è spento a 96 anni Dante Rosset Partigiano, vide bruciare Trois-Villes
Le case dei villaggi di Porsan, Avisod e Fonteil che bruciano, la neve sotto gli scarponi a Saint-Barthélemy, le discese con gli sci ai piedi, l’alpeggio di La Nouva. La vita di Dante Rosset è stata nel segno della montagna. E come un montanaro fiero e riservato se n’è andato, sereno nella sua casa del Villair, con le epigrafi uscite solo a funerali avvenuti lunedì 15 novembre scorso, come da espressa richiesta. La sua scomparsa, però, non poteva passare sotto silenzio. Con lui se ne va uno dei testimoni oculari dell’eccidio di Trois-Villes, quando le milizie fasciste, per rappresaglia contro un’azione della Resistenza, il 23 agosto del 1944 uccisero i quattro partigiani Eusebio Barrel, Pietro Desandré, Tommaso Foretier-Dujon e Roberto Martinet e diedero fuoco alle abitazioni. Dante Rosset fu tra coloro che seppellirono ai compagni uccisi e che - ci teneva a ricordare con orgoglio - vide gli abitanti di quelle case bruciate rimboccarsi le mani e ricostruirle pietra su pietra nel giro di un paio di anni.
Era nato il 30 marzo del 1925 a Quart da mamma Emilia Bionaz e papà Adolfo, più giovane di tre anni rispetto al fratello Aldo. Una famiglia di allevatori, con l’alpeggio ai duemila metri di La Nouva, a Saint-Barthélemy. Da ragazzo aveva frequentato la Scuola Cogne, poi arrivò la guerra a guastare i suoi piani, come quelli di tutti. Al momento di scegliere, prese la strada delle montagne e della Resistenza. Il suo riferimento principale fu la banda comandata da Silvio Gracchini nella zona di Tros-Villes, divenuta poi la 13esima Emile Chanoux. Come gli altri componenti fu poi internato in Svizzera dal 10 dicembre 1944 al 4 luglio 1945, non potendo gioire per quella Liberazione che si pensava arrivasse molto prima. Dopo la Guerra, Dante Rosset trovò impiego al Casinò de la Vallée, dapprima come autista personale del conte Gabriele Cotta, poi come addetto alla portineria e infine come croupier alla roulette. Grande amante della montagna - ha percorso la Valle d’Aosta in lungo e in largo con la moglie Giovanna Viérin, sposata nel 1959 e mancata nel 2005, e con la figlia Raffaella -, aveva imparato a sciare da partigiano: avvicinò tanti ragazzi allo sci e lo ha praticato lui stesso fino a un’età molto avanzata, acquistando lo stagionale ancora a 89 anni. Nel 1989, insieme a un gruppo di amici, costruì il bivacco Clermont-Rosaire - in memoria di Marco Clermont e Umberto Rosaire - tra il Lago di Champanement e il col Vessona, a Quart.
Determinato e ottimista, è rimasto lucido fino all’ultimo. Una settimana prima di spegnersi, si è ancora fatto accompagnare dalla figlia alla sua casa di Chancombre a Saint-Barthélemy, per ammirare un’ultima volta da vicino le montagne che tanto amava. Lascia la figlia Raffaella - insegnante alle scuole medie del Villair - con il marito Eraldo Luboz e i nipoti Jeannette Rosset, André Rosset, Alessandra Ferrero e Stefano Ferrero.