Cogne ha pianto Ivo Buttier, innamorato della Valle d’Aosta e dei viaggi nel mondo
Quel giorno di agosto del 2001 era uno dei ricordi memorabili di Ivo Buttier. Prima la telefonata per una disdetta, una disdetta che ad agosto pesa parecchio e poi pochi minuti dopo un’altra telefonata da parte di una ragazza che cerca una camera dopo avere chiamato tutti gli alberghi di Cogne. Lui le disse «Lei è una signorina fortunata» ma non avrebbe mai immaginato che questa somma di coincidenze avrebbe cambiato la sua vita.
La signorina in questione era Alida Bernini, che arrivò a Cogne dopo qualche giorno e dopo vent’anni di vacanze estive di famiglia a Brusson, con lei la mamma e soprattutto la sorella Daniela. Tra Ivo e Daniela fu intesa immediata e da allora non si sono più lasciati e non si lasceranno neppure adesso, anche se Ivo martedì scorso era in una bara di legno chiaro circondata da una folla di amici, sul sagrato della chiesa di Cogne, sotto il cielo azzurro e freddo delle sue montagne.
«Predisposizione famigliare» hanno detto i medici per spiegare il tremendo ictus che ha piegato per sempre la sua voglia di vivere, quella voglia che lo aveva portato con una volontà straordinaria a recuperare millimetro dopo millimetro la funzionalità dopo il primo ictus del dicembre del 2018. Per tre anni Ivo Buttier si è battuto per la vita e anche all’ultimo ha voluto che qualcuno vivesse meglio per lui, donando i suoi organi.
Un cuore grande quello di Ivo Buttier, un ragazzo d’oro, innamorato di Cogne e della Valle d’Aosta ed allo stesso tempo innamorato del mondo e dei viaggi condivisi con la sua Daniela. Da pochi giorni aveva riavuto la patente, una grande conquista per lui, accompagnata dalla dolorosa rinuncia alla chitarra sostituita dalla tromba, che però riusciva a suonare. La musica se la portava dentro da sempre, come tutti i cognein, anzi quando dall’albergo arrivava a casa, pure a notte fonda, non resisteva alla voglia di mettere le dita sulle corde della chitarra, diceva «Questo è il mio momento, è la mia ora». Perché Ivo Buttier era nato albergatore, venuto alla luce il 28 gennaio del 1972, pochi mesi dopo l’apertura della trattoria con camere sul rettilineo che dal ponte di Cretaz porta a Veulla di Cogne, davanti al grande prato di Sant’Orso.
Proprio di Cretaz era originario il papà Giuliano, sposato con Lucina Cavagnet ed autotrasportatore con una visione nel futuro: il turismo alternativo alla miniera. Per questo motivo nel 1959 iniziò a costruire la casa, completata nel 1963, dove nel 1969 fu aperto al piano terreno il bar, che dal 1971 divenne pure pensione e dalla metà degli anni Settanta l’albergo «Vallée de Cogne», con annesso campeggio. Quando Ivo Buttier nacque si ritrovò in una famiglia già formata, con le sorelle Anna del 1954, Giuliana del 1955, Rosanna del 1959 e Silvano del 1965. Il piccolo di casa, amato e viziato, arrivava appena al bancone del bar quando iniziò a servire bustine di zucchero e cucchiaini per i caffè, ma sembrava che la gestione dell’albergo ristorante «Vallée de Cogne» non fosse nel suo destino. Dopo il diploma di geometra, si iscrisse a Lettere all’Università di Torino, seguendo anche in questo caso l’amore per la cultura e la letteratura. Poi in un’estate di particolare affluenza si impegnò in hotel per aiutare le sorelle e il fratello e come spesso accade quel «tanto posso sempre ricominciare…» lo allontanò dalla laurea e lo avvicinò al suo lavoro. La passione per le cose belle gli rimase e diventò albergatore, facendo di tutto, dalla gestione della contabilità e dei clienti, all’accoglienza, dal servire al ristorante, come al bar, all’essere il punto di riferimento per tutti coloro che volevano conoscere le montagne di Cogne.
La sua valle non aveva segreti per Ivo Buttier, tanto che persino il suo giuramento da alpino era avvenuto sulla vetta del Gran Paradiso. Conosceva la montagna e le storie della montagna, anche la pesca per lui era sempre un arrivare in alto, il lago da conquistare dopo ore di cammino, per catturare delle trote e poi subito liberarle. Quando Daniela e lui, oltre alla casa di Cogne, avevano deciso di averne una anche ad Aosta, viveva il trasferimento di poche decine di chilometri come una vacanza. Quasi tutti i giorni da Aosta, durante le pause dell’attività alberghiera, partivano insieme a piedi, verso l’alta o la bassa valle, trascorrendo il tempo all’aperto, ammirando la civilizzazione della montagna. La voglia di conoscere li aveva portati lontano, Ivo amava molto la cultura latina e parlava bene lo spagnolo, così le mete furono l’Argentina, il Messico, l’Ecuador, l’Uruguay, le isole Galapagos, le Antille. Mai posti scontati, mai viaggi organizzati, solo la spinta dell’esigenza di conoscere e di misurarsi, come quando nel 2016 partirono dal Gran San Bernardo per arrivare a Roma, percorrendo per quarantatré giorni la Via Francigena, oppure come tra ottobre e novembre del 2018, poco prima dell’ictus, affrontarono la Via della Costa da Ventimiglia a Sarzana.
Da dicembre del 2018 le sue montagne si erano allontanate e Ivo Buttier passava ore con il binocolo a guardare in alto, ricordando le sensazioni di quando saliva rapido, cercando sempre con lo sguardo di vedere qualcosa di nuovo. La sua bella famiglia, il suo amore per Daniela lo hanno sostenuto per tre anni, giorno dopo giorno, malgrado le delusioni e le difficoltà. Non ha smesso di fare esercizi, di riabilitare il corpo e la mente, progredendo lentamente ma progredendo, pensando al futuro. Poi un altro ictus, come era successo al papà Giuliano nel 1986, e una settimana di rianimazione in Ospedale, con un decorso pessimo, inatteso dopo tanti sforzi, fino al buio di venerdì e alla luce donata ad altri grazie al suo altruismo.
«Vorrei dei sorrisi al mio funerale e una grande festa» diceva Ivo Buttier, lui che aveva un attaccamento alla vita incredibile e che rincuorava chi stava male. Invece martedì c’era troppo dolore nel silenzio di Cogne.