Il record di Pierangelo Ronco: già 50 «antalpu» a 55 anni, la désarpa con i colori walser

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La fine di settembre ed i primi giorni di ottobre sono tempo di désarpa in Valle d’Aosta, vera festa di fine estate, di rientro in famiglia, in un contesto più confortevole, e di bilancio della stagione appena conclusa in montagna. Per Pierangelo Ronco quest’anno sarà la cinquantesima désarpa dall’alpeggio di famiglia - tutt’ora a gestione familiare - nel Vallone di San Grato ad Issime, dove in lingua walser il termine usato per la discesa a valle delle mandrie è «antalpu».

Cinquanta désarpe a soli cinquantacinque anni. Pierangelo è infatti venuto al mondo all’Ospedale di Ivrea il 18 dicembre 1966, secondogenito di papà Dario, nato nel 1937 a Issime, e di mamma Tersilla Rolland, nata nel 1936 a Fontainemore, che ha trasmesso ai figli la lingua franco-provenzale del suo paese. E’ il fratello di mezzo, avendo due sorelle: Tiziana del 1963 e Sandra del 1973.

Quello di Töefi - ora appena ristrutturato - è l’alpeggio di casa, condotto dal nonno Giuseppe Ronco e dalla moglie Angiolina Busso, mancati rispettivamente nel 1971 e nel 2008. La nonna Angiolina ha sempre aiutato nelle attività dell’alpe anche quando, dal 1972, rimasta vedova, è subentrato nella gestione il figlio Dario, che fino ai suoi ottant’anni non ha saltato un’estate, poi dal 2018 ha trasferito completamente l’attività, in particolare a Pierangelo che, insieme alla moglie Anna Stevenin, gestisce Töefi dal 1994.

Per Pierangelo Ronco, salito in alpeggio la prima volta nel 1972 dall’età di sei anni, questa del 2021 è appunto la cinquantesima désarpa, dopo aver vinto nel 2016 la Grande Medaille d’Or del concorso regionale, il maggiore riconoscimento per le fontine prodotte in alpeggio, una decisione - quella di destinare il latte alla fontina - presa negli anni Ottanta, mentre in precedenza, come è tradizione nella zona, si producevano tome e burro. La désarpa numero cinquanta sarà mercoledì o giovedì prossimo, 6 e 7 ottobre, dipenderà chiaramente dal meteo e dall’ultima erba.

Delle scuole - elementari a Issime e medie a Pont- Saint-Martin - Pierangelo Ronco ricorda «L’ambiente affiatato tra gli alunni, in quanto tutti provenienti dall’ambiente agricolo, le pluriclassi, come le nostre, dalla prima alla terza, quarta e quinta insieme, e le maestre, più severe di quelle di oggi». «Scendevamo io e le sorelle dall’alpeggio - rievoca Pierangelo Ronco - mentre i nostri genitori stavano ancora su a Töefi perché la stagione non era finita. Noi vivevamo dalla nonna Angiolina con dei cuginetti, che a loro volta in estate erano stati in montagna con il bestiame e quello di inizio anno scolastico era l’unico momento per rivederci. Da giugno a settembre salivamo in montagna, dove fin da piccoli potevamo renderci utili, pulendo le stalle e sorvegliando le bovine al pascolo senza i recinti elettrici, visto che proprio noi bambini, insieme ai cani, avevamo il compito di tenerle unite. Giocavamo con i coetanei dei tramuti vicini, più crescevamo, più aumentavano le responsabilità, dalla mungitura alla lavorazione del latte. Di norma nel Vallone di San Grato siamo sempre saliti intorno al 10 di giugno dopo la fine della scuola e l’énarpa la mattina presto per non soffrire troppo il caldo lungo il tragitto.»

Pierangelo ha sposato, il 15 gennaio 1994, Anna Stevenin di Fontainemore, di neppure tre anni più giovane, essendo nata il 23 aprile 1969, che chiaramente dopo il matrimonio si è trasferita a Issime. Dal loro matrimonio sono nate tre figlie: Sara il 31 gennaio 1996, laureata in Scienze agrarie, Katia il 5 maggio 2000, diplomata all’Institut Agricole Régional, ed Alice il 2 marzo 2009, che frequenta la seconda media a Pont-Saint-Martin.

Nell’estate del 1986 Pierangelo Ronco ha effettuato il servizio militare ad Aosta nella Caserma Testafochi, dove ha conosciuto tanti altri giovani valdostani, con alcuni dei quali è rimasto molto amico: «Salivo in alpeggio solo quando avevo delle licenze e, per il resto, sono state le mie sorelle Tiziana e Sandra ad aiutare i nostri genitori».

D’altra parte, in alpeggio, il lavoro non manca di sicuro e il tempo è tiranno e non è mai sufficiente, soprattutto quando si aggiungono la cura degli animali e la produzione della fontina, oltre - ed è questo il caso - ad una gestione completamente familiare, senza ricorrere a del personale salariato. La mattina alle 4.30 avviene la prima mungitura, alle 16.30 la seconda. Poi mentre le bovine pascolano, si lavora il latte, per produrre la fontina d’alpeggio. La famiglia Ronco possiede attualmente trentacinque mucche in lattazione, castane e pezzate rosse, e una quindicina tra manze e manzi, per un totale di cinquanta capi, tutti in alpeggio insieme, senza «affittare» animali di altri proprietari.

Dopo la mungitura - che a Töefi avviene meccanicamente, mentre nel tramuto di Münes, a 2.000 metri, dove la famiglia si sposta ad agosto per trovare l’erba più fresca, si fa a mano - il latte viene subito lavorato. Verso mezzogiorno le bovine tornano a riposare nella stalla e dopo la mungitura pomeridiana rimangono al pascolo fino alle 21. Vicino al Col Dondeuil, a quota 2.300, i Ronco possiedono un altro alpeggio, Wan, dove vengono trasferiti a un certo punto dell’estate solamente i capi giovani e dove fino ad una quindicina di anni orsono si poteva lavorare il latte e pure abitare.

Negli alpeggi di Töefi e Münes si producono trecento fontine in tutta la stagione estiva, che vengono conferite fresche alla Cooperativa produttori di latte e fontina di Saint-Christophe, nel magazzino di Issogne dove avviene la stagionatura e dove le forme vengono portate da Issime una volta alla settimana e più di rado quando il bestiame è in alto.

Il vero cambiamento avviene ad inizio ottobre, tempo di désarpa: a seconda delle condizioni del pascolo e del tempo, si scende con tutte le bovine fino a Issime in circa tre ore a piedi, con l’aiuto di parenti ed amici, che contribuiscono a tenere unita la mandria. Normalmente si parte finito il pranzo, verso le 13.30, dopo avere ancora lavorato tutta la mattina per sistemare ogni cosa prima della discesa a valle. «Il vantaggio, nel nostro caso, è che - spiega Pierangelo Ronco - dobbiamo percorrere una strada secondaria, quasi completamente priva di traffico. Una volta, quando si era più legati all’agricoltura e all’allevamento, la désarpa era una festa, un’occasione per stare insieme e per guardare se le mucche erano state ben curate, per capire se il conduttore dell’alpe era stato un buon pastore. Adesso non si notano più questi dettagli, nella migliore delle ipotesi la gente accorre per curiosità o per divertimento. Talvolta si percepisce perfino fastidio nei passanti, perché il passaggio delle bovine fa perdere tempo bloccando il traffico o perché semplicemente sporcano le strade. Come da tradizione, la mucca più combattiva sfoggia il bosquet rosso, la più produttiva il bosquet bianco. Lo portano con orgoglio, come se capissero che è un’onorificenza. A tutte mettiamo uno o più fiori sul capo, almeno una coccarda tra le corna, a seconda dei meriti, oltre ai campanacci più grandi, che si utilizzano solo per la désarpa.»

«A Issime tra i prati di Seingles abbiamo la stalla invernale. Per un mese - continua Pierangelo Ronco - le bovine riescono ancora a pascolare in autonomia nei prati intorno alla casa e alla stalla. A novembre inizia il periodo più impegnativo, quello dei parti, che preferiamo seguire a Issime proprio per essere più attrezzati e avere all’occorrenza il veterinario vicino. Mediamente sono una quarantina le bestie a partorire, ogni parto un vitellino, raramente due. Per quindici giorni li dobbiamo alimentare con il latte della mucca con il biberon, poi dopo lo svezzamento, che avviene con latte in polvere e poi con il mangime e il fieno, tra i trenta e i quaranta giorni sono pronti per essere venduti e così li portiamo al centro raccolta all’arena della Croix-Noire di Aosta. Il nostro guadagno chiaramente deriva dal latte, poco dalla carne: in piena lattazione mungiamo circa duecento litri al mattino ed altrettanti il pomeriggio, tutti conferiti alla Cooperativa produttori di latte e fontina, che gestisce il caseificio di Fontainemore.»

«Ricordo ancora l’epoca in cui c’era meno turismo e più terreni per i prati, si poteva allora avere una maggiore quantità di fieno, tagliato sia in quota che nel fondovalle. Le bovine di proprietà restavano in alpeggio anche fino a Santa Barbara, ad inizio dicembre, anche perché, non esistendo il mangime né la possibilità di acquistare il fieno, quello stoccato nelle baite del Vallone di San Grato era l’unico alimento possibile per le bestie.»

La famiglia Ronco, in questo spaccato di storia che ha avuto la possibilità di osservare e di vivere, ha un solo rimpianto: quello di vedere il Vallone di San Grato in progressivo abbandono. Poiché è naturalisticamente protetto, non è possibile ottenere un prolungamento della pista sterrata per accedere con maggiore facilità alle tante zone dell’area. E, senza strade, è difficile ristrutturare le antiche case walser ed è più faticoso anche lavorare. Per questo motivo, tanti fabbricati ormai sono in rovina. «Dall’alpeggio di Töefi a 1.700 metri a quello di Münes a 2.000 metri - sottolinea Pierangelo Ronco - occorre trasportare le attrezzature in elicottero, che però ha un costo di venticinque euro al minuto. Senza piste, non possiamo movimentare con i trattori l’occorrente per il nostro lavoro. Per questo trasferiamo il minimo indispensabile: con l’elicottero portiamo, per esempio, il generatore per la corrente, le bombole di gas per la casera, perché il fuoco a legna sotto la caldaia non è più consentito dalle normative igienico-sanitarie, ma non l’attrezzatura per la mungitura meccanica, che rimane a Töefi. I secchi e la caldaia invece li troviamo già su.»

E ancora, nel confronto tra passato e presente, «Se cinquanta anni fa si poteva dormire in tutte le baite, ed erano una decina le famiglie che vivevano in alpeggio a San Grato, ora gli edifici sono in forte degrado. Ma così si perde un patrimonio storico-architettonico importante. Non è questo il modo di salvaguardare l’ambiente, perché la vegetazione avanza. Erano alpeggi piccoli, però tutti operativi, gestiti direttamente da persone del posto. Si può dire che ci fosse un’economia vivace e necessaria. Ora siano rimasti in quattro. Non è avvenuto il ricambio generazionale. Tutti ormai ricercano la comodità.»

Quella di Pierangelo e Anna, in definitiva, è la testimonianza, pur con le innovazioni in alcune fasi della lavorazione del latte, di un alpeggio gestito all’antica, in una bella e vecchia casa in pietra, con le bovine nella stalla al piano terra e accanto la casera, e con l’abitazione al piano superiore. Una sorta di insediamento ancora tradizionale, diverso dai grandi alpeggi dell’alta valle, con le loro stalle anche da più di cento capi, un insediamento tipico delle zone di popolamento walser, modello economico e spazio di convivenza, di socialità. Merito della famiglia Ronco, del suo uomo dalle cinquanta désarpe Pierangelo, un esempio che apre il cuore ai tanti valdostani che hanno conosciuto cosa vuol dire trascorrere l’estate in montagna con il bestiame, in gruppi di case in pietra che si popolavano solo per due mesi o per poche settimane di voci e di lampade a carburo, «centilene» come dicevano, tutti insieme. Il lavoro dei Ronco e di chi come loro porta avanti, con sacrificio, un modello di piccolo alpeggio, famigliare, dovrebbe essere maggiormente valorizzato nelle politiche regionali, perché sono queste persone che fanno sperare un’intera comunità che la vita continui pure lassù tra il verde dei pascoli, il grigio della roccia e il velo bianco delle nuvole basse.

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